A Pesaro56 martedì 25 è stata la giornata di Oliver Stone, che ha incontrato un vasto e appassionato pubblico in Piazza del Popolo. Inoltre il primo matinée di incontri con i registi e la seconda giornata di Concorso Pesaro Nuovo cinema.

Tre i registi del concorso in collegamento video con la sala del Cinema Astra durante il primo matinée del festival: Paulo Abreo, Eléonore Weber e Gabriele di Munzio.

Tutti hanno discusso le modalità di realizzazione e di ideazione delle proprie opere rispondendo alle domande del pubblico. Abreo, autore di O que não se vê (What is not seen), ha spiegato che il suo “Non doveva essere un film all’inizio, è nato dai sopralluoghi per un altro progetto che è naufragato a causa dell’improvvisa morte del produttore. Ho poi deciso di riprendere il materiale che ha assunto una forma filmica”. Alla base dell’opera sta soprattutto l’idea di “quello che non si vede” dal momento che “durante i sopralluoghi siamo andati (Abreo e il resto della troupe, ndr) alle Azzorre due volte, la prima volta il monte Pico era libero dalle nubi poi siamo tornati e per circa sei giorni è stato impossibile vedere la montagna. Scherzando e parlando abbiamo cominciato a fare una riflessione su quello che non si vede, sul fuoricampo”.

A proposito del suo Il n’y aura plus de nuit, la francese Weber ha raccontato: “Mentre stavo lavorando sulle guerre in Medioriente ho scoperto questi documenti straordinari e ho avuto l’idea di fare un film indagando il punto di vista dei piloti dei mezzi militari”. Interrogativo profondo posto dal film è se “la pulsione scopica che provano i piloti corrisponda alla pulsione che li conduce ad uccidere e che rappresenta l’imperativo proprio del soldato”.

“Quasi tutti i temi del mio film sono riconducibili a delle invocazioni: i canti, le preghiere, le riflessioni”, ha spiegato Gabriele di Munzio sul suo Smarginature (liberaci dal male), girato a Napoli durante la pandemia.

Nel pomeriggio sono state proiettate altre tre opere del concorso: Non si sazia l’occhio, indagine di un’ossessione visiva svolta dal pugliese Francesco Dongiovanni, la narrazione filmica di un mito messicano a opera della giapponese Kaori Oda con Ts’onot (Cenote) e infine il film portoghese A metamorfose dos pássaros (The Metamorphosis of Birds), opera prima di Catarina Vasconcelos che mette in scena l’elaborazione di un lutto.

“Sono sempre stato un ribelle, ho sempre lottato contro le cose che non condividevo”. Si è espresso senza mezzi termini il regista tre volte premio oscar Oliver Stone, di passaggio a Pesaro durante il tour di presentazione della sua autobiografia “Cercando la luce” (edito in Italia da La nave di Teseo).

“Il governo del mio paese è un governo molto duro e detesta essere criticato. Io ho sempre espresso le mie idee, ho ritenuto che la guerra nel Vietnam fosse assolutamente stupida e ho cercato di dirlo attraverso il mio cinema. Eppure gli Stati Uniti hanno poi ingaggiato altre guerre, è come se non avessimo imparato dal passato”. Dalla riflessione sui suoi primi quaranta anni di carriera agli apprezzamenti ad alcuni dei film usciti di recente “Mi sono piaciuti molto Joker, The Irishman e Diamanti grezzi”, fino a un’esortazione rivolta ai registi: “Vorrei che molti più film parlassero della verità in cui viviamo lasciando da parte le fantasie che hanno lo scopo di rassicurare il pubblico. Viviamo in una situazione di grande precarietà”.

Durante la serata molti gli eventi dislocati tra le varie aree del festival: la proiezione di Death of Nintendo del filippino Raya Martin in Piazza del Popolo, Giordano Bruno di Montaldo al Teatro Sperimentale e l’omaggio ad Alberto Sordi presso i Bagni Agata con Il vigile di Luigi Zampa.