La regola del silenzio

The Company You Keep

2/5
La rivoluzione russa: la compagnia di giro di Robert Redford ha la coperta corta...

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USA 2012
Jim Grant è un padre single che svolge la professione di avvocato di una piccola città. Questa tranquilla condizione di vita, in realtà, nasconde segreti ben più scottanti riguardo la sua reale identità: negli anni '70 era un pacifista radicale, militante di Weather Underground, e sulla sua testa pende l'accusa di omicidio. I suoi oltre vent'anni di latitanza si concludono bruscamente a causa del giovane reporter Ben Shepard che svela la sua vera identità scatenando in tutto il Paese una gigantesca caccia all'uomo...
SCHEDA FILM

Regia: Robert Redford

Attori: Robert Redford - Jim Grant, Shia LaBeouf - Ben Shepard, Julie Christie - Mimi Lurie, Sam Elliott - Mac Mcleod, Brendan Gleeson - Henry Osborne, Terrence Howard - Agente Cornelius, Richard Jenkins - Jed Lewis, Anna Kendrick - Diana, Brit Marling - Rebecca Osborne, Stanley Tucci - Ray Fuller, Nick Nolte - Donal, Chris Cooper - Daniel Sloan, Susan Sarandon - Sharon Solarz, Jackie Evancho - Isabel Grant, Stephen Root - Billy Cusimano, Hamza Adam - Maulik Banjali

Soggetto: Neil Gordon - romanzo

Sceneggiatura: Lem Dobbs

Fotografia: Adriano Goldman

Musiche: Cliff Martinez

Montaggio: Mark Day

Scenografia: Laurence Bennett

Arredamento: Carol Lavallee

Costumi: Karen L. Matthews

Durata: 117

Colore: C

Genere: THRILLER

Tratto da: romanzo "The Company You Keep" di Neil Gordon

Produzione: NICOLAS CHARTIER, ROBERT REDFORD, BILL HOLDERMAN PER VOLTAGE PICTURES, WILDWOOD ENTERPRISES

Distribuzione: RAI CINEMA/01 DISTRIBUTION

Data uscita: 2012-12-20

TRAILER
NOTE
- FUORI CONCORSO ALLA 69. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2012), HA RICEVUTO IL PREMIO OPEN E IL PREMIO GIOVANI GIURATI DEL VITTORIO VENETO FILM FESTIVAL.
CRITICA
"Splendido 75enne, Redford ci riporta al «come eravamo» di un gruppo radicale anni 70 in clandestinità, tempi della protesta anti Viet ma con la morte di una guardia giurata sulla coscienza. Col suo nuovo «vecchio», nobile thriller politico, Redford cede al bravo Shia LaBeouf la parte del giornalista che scova dopo 40 anni i compagni. Una bambina e tanta vecchia Hollywood (Nolte, Christie, Sarandon) a dimostrare com'era bello quel cinema che parlava della realtà vivendola e criticandola." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 20 dicembre 2012)

"Redford mantiene a 75 anni la sua aria da ragazzo e la sicurezza di poter contribuire alla causa liberal con il suo cinema. Non condivide i metodi degli Weathermen. Ma neanche quelli usati dall'Fbi per neutralizzarli. Tra fine anni 60 e inizio 70, mentre l'impegno nel sudest asiatico era al culmine, agì un gruppo rivoluzionario terroristico così denominato. Ispirandosi al verso di una canzone di Dylan: 'Non serve un meteorologo (weatherman) per capire da che parte tira il vento'. Il gruppo compì attentati dinamitardi in luoghi simbolici. Solo negli anni 80 qualcuno di loro uscì dalla clandestinità e fu preso. (...) Passerella di 'star democratiche', da Susan Sarandon a Julie Christie a Nick Nolte. Mélange riuscito di denuncia e romanticismo." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 20 dicembre 2012)

"Pur presentandosi sotto una blanda forma di thriller, 'La regola del silenzio' - diretto e interpretato da Robert Redford sulla base del romanzo di Neil Gordon - è in buona sostanza un viaggio a ritroso nella recente storia americana che induce a qualche riflessione sul presente. Ne è protagonista un ex militante dei 'Weather Underground', gruppo clandestino di sinistra che nell'America degli Anni Sessanta teorizzava sistemi di lotta dura, non escludendo l'uso di esplosivi: a scopo dimostrativo, è vero, ma con le armi in mano non si sa mai. (...) Grant (e con lui il film) riapre un dibattito su quel passato e sull'annoso problema se uno scopo pur nobile giustifichi una violenza. La risposta è no, ma incarnati da divi del carisma (e della tempra democratica) di Redford, Sarandon e Nolte, i protagonisti di quei «giorni di rabbia» rappresentano pur sempre un invito a continuare a credere e a battersi per la cosa giusta." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 20 dicembre 2012)

"La struttura narrativa della caccia all'uomo, sempre efficace, serve a Redford per due scopi. Il primo è rievocare, e in qualche misura rivalutare, una stagione della politica americana in cui tali e tante erano le nefandezze compiute dal potere che anche una scelta eversiva come quella dei Weathermen nasceva - Redford dixit - da istanze giuste, per quanto sbagliati fossero i metodi. D'altronde erano anni in cui l'opposizione radicale prima alla guerra in Vietnam, poi ai metodi truffaldini di Nixon incrociava tutta la controcultura - dalla musica rock al cinema off-Hollywood - e si traduceva in forme di lotta politica alquanto bellicose, dalle Black Panthers in giù. Non è quel che preme a Redford, ma per noi italiani può essere utile sottolineare che un eventuale paragone fra i Weathermen e i terroristi italiani (rossi e neri) è quanto meno incongruo, anche se i fenomeni sono in parte coevi. Il secondo è comporre una galleria di ritratti di vecchi ribelli, per la quale si scomodano attori da urlo. (...) 'La regola del silenzio' è un film notevole, non solo per il tema ma anche e soprattutto per la fattura: Redford è meno bravo, come regista, del poco più anziano Clint Eastwood, ma come lui persegue ancora un'idea di cinema classico, in cui i film si prendono i propri tempi, i personaggi sono delineati con cura e il racconto si dipana senza fronzoli e insensate accelerazioni. Una doppia lezione: di storia americana, e di recitazione. Grazie Bob, è sempre bello rivederti." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 20 dicembre 2012)

"Erede del lessico bruciante del '68, 'The Company You Keep' visione di ritorno di un cervello collettivo che ridisegnò il mondo in ogni latitudine, e che molti hanno archiviato sotto le voci ideologia, estremismo, idealismo, utopia. Dialoghi da sballo, intrisi dell'umorismo sarcastico di una «Company» allenata alla ferocia di fine anni '60, immagini di un'America sinfonica, da Big Sur del beat generation e alle nebbie nordiche di Mendocino fino al Michigan e alla Flint della General Motors e di Michael Moore, dove nel 1969 un'ala radicale del movimento si appropriò della canzone di Bob Dylan, 'Subterranenan Homesick Blues', e rispose all'aggressione (dalla clandestinità) del governo Nixon contro la Cambogia e i militanti pacifisti, Weathermen, nome di cui le «women» pretesero il cambio in Weather Underground. (...) Senza un solo fotogramma in eccesso, 'La regola del silenzio', testimonia non solo la necessità rivoluzionaria, «ogni tempo ha la sua», ma l'integrità del cinema fiancheggiatore della storia, purezza visiva nella fotografia di Adriano Goldman su testi di Lem Dobbs, che ha riadattato il romanzo di Neil Gordon. Musiche punk di Cliff Martinez, ex batterista della rock band americana dei Red Hot Chili Peppers, collaboratore abituale di Steven Soderbergh e soprattutto co-autore della splendida colonna sonora di 'Spring Breakers' di Harmony Korine. Cinema classico, vicino allo sguardo del Clint Eastwood regista (e non cheerleader di Romney), dietro un se stesso Bob Woodward, il reporter del Watergate di Pakula, che si incarna nel testardo Ben Shepard, in gara con l'Fbi per scovare l'ex Weatherman. Il giornalista scandisce il thriller nell'inseguimento dell'uomo braccato, su e giù per gli States in cerca degli ex compagni, anche loro mascherati, nuova vita, falso nome. Ognuno dirà la sua sugli anni gloriosi, come il peggior «professore in marxismo», Daniel (Chris Cooper) il più emotivo e incapace degli ex rapinatori, che banalizza «storia e coscienza di classe» per i suoi studenti con lo slogan «azione e passione», prima di passare a Fanon e al terzomondismo." (Alice Twist, 'Il Manifesto', 20 dicembre 2012)

"Arriva sugli schermi anche 'La regola del silenzio', nono film diretto da Robert Redford (...). Riflettendo sul senso di alcune scelte di vita, il regista rende anche omaggio al cinema della New Hollywood di quarant'anni fa." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 20 dicembre 2012)

"Il cinema di denuncia per Redford è linfa vitale, e deterge ogni debolezza narrativa. Il film, ha il pregio di rivolgersi con chiarezza a un pubblico trasversale e di mostrare, senza fronzoli la decadenza del giornalismo attuale. Quanto alla verità sugli Underground, vale la pena recuperarsi il prezioso documentario di Emile de Antonio." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 20 dicembre 2012)

"Aggrovigliato e semiavvincente poliziesco del veterano Robert Redford, che dirige con grande flemma il sempre più rugoso se stesso. (...)Complimenti a Shia LaBeouf che stana in tre minuti un ricercato trentennale. Di sicuro Redford non ci vede più tanto bene, se mormora alla decrepita Julie Christie: «Sei sempre uguale»." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 20 dicembre 2012)

"Piacerà a coloro che rimpiangono il vecchio, sodo, privo di fronzoli cinema degli anni '70. Robert Redford che maturò come attore in quel periodo, ha imparato dai suoi manovratori d'allora (Sydney Pollack, Arthur Penn) tutto quello che c'era da imparare. Incluso il postulato che il principale interlocutore è sempre il pubblico (se non fai un film che aggancia il comune spettatore, lo spingi all'identificazione, allora hai solo sprecato pellicola). Bene, 'La regola del silenzio' aggancia, l'identificazione con Redford o LaBeouf (a seconda dell'età) è automatica (perché Redford come i suoi mentori di un tempo parte dalla premessa che l'eroe è sicuramente innocente). Il discorso di cui sopra è una premessa per 1) rassicurare subito il lettore sulla bontà del prodotto; 2) spazzare qualche equivoco nato dalla presentazione all'ultimo festival di Venezia. Perché Redford al Lido sembrò fare di tutto per affossare il film. Uscendosene con la frase che, sì, i metodi dei clandestini del 'Wheater Underground' erano sbagliati (la lotta annata per intenderci) ma i loro ideali son ancor oggi sottoscrivibili. Per fortuna, come non di rado succede, il film è più intelligente di chi l'ha diretto. Dai discorsi dei reduci degli anni ruggenti non viene mai fuori la validità delle loro motivazioni ideologiche, semmai la vacuità delle pulsioni d'allora. Pur incarnati dal top dell'attuale intellighenzia «radical» di Hollywood (Susan Sarandon, Nolte, Sam Elliott) i personaggi parlano da sopravvissuti, la loro fede politica è morta senza eredi. A cominciare dal Jim di Redford che la figlia piccola l'ha educata su opposti ideali." (Giorgio Carbone, 'Libero', 20 dicembre 2012)