Don't Say a Word

USA 2001
Nathan Conrad è uno psichiatra di New York, con una splendida moglie e una bellissima figlia. Un giorno la sua vita viene sconvolta: un gruppo di criminali, guidati da Koster irrompe in casa sua e gli rapisce la figlia. Koster vuole una cosa sola da Conrad: che riesca ad entrare nella mente di Elisabeth Burrows, una ragazza ricoverata da anni in un manicomio, affinché lei riveli dove si trova un prezioso gioiello frutto di una rapina di dieci anni prima.
SCHEDA FILM

Regia: Gary Fleder

Attori: Michael Douglas - Dr. Nathan Conrad, Sean Bean - Patrick Koster, Brittany Murphy - Elizabeth Burrows, Skye McCole Bartusiak - Jessie Conrad, Jennifer Esposito - Detective Sandra Cassidy, Guy Torry - Martin Joseph Dolen, Shawn Doyle - Russel Maddox, Victor Argo - Sydney Simon, Conrad Goode - Max Dunlevy, Paul Shulze - Jake, Lance Reddick - Arnie Carter, Famke Janssen - Aggie Conrad, Oliver Platt - Dottor Louis Sachs, Aidan Devine - Leon E. Croft, Alex Campbell - Jonathan, Isabella Fink - Elisabeth a 8 anni, Judy Sinclair - Zelda Sinclair, Darren Frost - Portiere, Sam Montesano - Frankie Spaducci, Larry Block - Usciere, David Warshofsky - Ryan, Louis Vanaria - Poliziotto, Philip Williams - Poliziotto, Daniel Kash - Detective Garcia

Soggetto: Andrew Klavan - romanzo

Sceneggiatura: Patrick Smith Kelly, Anthony Peckham

Fotografia: Amir M. Mokri

Musiche: Mark Isham

Montaggio: William Steinkamp, Armen Minasian

Scenografia: Nelson Coates

Arredamento: Carolyn 'Cal' Loucks

Costumi: Ellen Mirojnick

Effetti: Bob Hall, Ted Ross

Altri titoli:

Ni una palabra

Sag' kein Wort

Pas un mot...

Durata: 114

Colore: C

Genere: THRILLER

Specifiche tecniche: PANAVISION, SUPER 35 STAMPATO A 35 MM (1:2.35) - DE LUXE

Tratto da: romanzo "Non dire una parola" di Andrew Klavan (Ed. TEA)

Produzione: FURTHUR FILMS, KOPELSON ENTERTAINMENT, NPV ENTERTAINMENT, NEW REGENCY PICTURES, REGENCY ENTERPRISES, VILLAGE ROADSHOW PRODUCTIONS

Distribuzione: MEDUSA DISTRIBUZIONE

Data uscita: 2002-04-12

CRITICA
"Chi ama il genere si accomodi. Ma ormai questi psicho-thriller tutti colpi bassi e suspense ricattatoria sembrano fatti a macchina. Sempre uguale Michael Douglas. Ingessatura molto sexy per Famke Janssen. (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 12 aprile 2002)

"Non è male l'idea della mente come cassaforte, ma è macchinosa la trappola dei delinquenti ed è un po' maldestro il finale che, per lasciare a Douglas il merito del coraggio e della sfida, rende imbecille la polizia. C'è una fosca atmosfera metropolitana, riuscita, che si deve al regista di 'Cosa fare a Denver quando sei morto' e 'Il collezionista', Con 'Unico testimone' questo terzo film di Fleder compone un dittico tra i titoli in cartellone: thriller di famiglia con padre detective. Potabile". (Silvio Danese, 'Quotidiano Nazionale, 12 aprile 2002)

"Il thriller non presenta nulla di particolare, ma (nello stile classico delle storie di un uomo comune coinvolto in imprese criminali contro la propria volontà, per ricatto) è abbastanza ben fatto". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 12 aprile 2002)

"Come accadeva in passato, ogni attore di prestigio, dopo una serie di film di successo, si concedeva una tregua interpretando un western. Oggi che questo genere è praticamente scomparso, i grandi divi frequentano il giallo-thriller. Così ha fatto puntualmente in questa occasione Michael Douglas, forse un po' frettolosamente visti i risultati, non proprio memorabili. Ma Gary Fleder già autore di 'Cosa vai a fare a Denver quando sei morto?' e 'Il collezionista', non è uno sprovveduto. Sa incalzare lo spettatore e pertanto sul piano puramente fisico il racconto ha la giusta dose di adrenalina, eppoi New York è fotografata dall'iraniano Amir Mokri con amorevole originalità". (Adriano De Carlo, 'Il Giornale', 14 aprile 2002)

"'Don't Say a Word' è una macchina narrativa efficiente quanto superficiale: dove tutto ha la sua prevedibile funzione: un ferro da calza, ad esempio, serve non solo per grattarsi dentro l'ingessatura, ma anche per infilzare i malviventi. E tanto peggio se il film contraddice il principio-base del thriller: fare incontrare una situazione eccezionale con un protagonista normale. Evidentemente (e con buona pace di Brecht) abbiamo ancora molto bisogno di eroi". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 20 aprile 2002)