Anna Karenina

4/5
Joe Wright si misura con Tolstoj, realizzando un film bello e posticcio su una società elegante ma ipocrita

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GRAN BRETAGNA 2012
Russia imperiale, 1874. Anna Karenina, bella ed energica moglie di Karenin, un ufficiale governativo di alto rango, ha quello che a San Pietroburgo tutti i suoi contemporanei aspirerebbero ad avere: una posizione sociale e una reputazione che non potrebbero essere più alte. Durante un viaggio verso Mosca per raggiungere suo fratello - un dongiovanni di nome Oblonskij, che le ha chiesto aiuto per salvare il proprio matrimonio con la moglie Dolly - Anna conosce l'affascinante ufficiale di cavalleria Vronskij e tra i due scoppia immediatamente una scintilla di reciproca attrazione. Nel frattempo, a Mosca, c'è in visita anche il miglior amico di Oblonskij, Levin, un proprietario terriero eccessivamente sensibile e compassionevole che, innamorato di Kitty, sorella minore di Dolly, ne chiede inopportunamente la mano. La ragazza, infatti, è innamorata di Vronskij e l'affranto Levin decide di tornare alla sua tenuta di Pokrovskoe per dedicarsi anima e corpo al lavoro nei campi. Mentre Kitty si strugge per il dolore del suo amore non corrisposto, Anna e Vronskij saranno protagonisti di una drammatica e travagliata storia d'amore, osteggiata dalle convenzioni della società cui appartengono e che cambierà tragicamente la loro vita e quella di tutti coloro che li circondano.
SCHEDA FILM

Regia: Joe Wright

Attori: Keira Knightley - Anna Karenina, Jude Law - Aleksej Karenin, Aaron Taylor-Johnson - Conte Vronskij, Kelly Macdonald - Dolly, Matthew Macfadyen - Oblonskij, Domhnall Gleeson - Levin, Ruth Wilson - Principessa Betsy Tverskoj, Alicia Vikander - Kitty, Olivia Williams - Contessa Vronskaja, Emily Watson - Contessa Lidija Ivanovna, Michelle Dockery - Principessa Mjagkaja, Holliday Grainger - Baronessa, Bill Skarsgård - Capitano Machouten, Eros Vlahos - Boris, Alexandra Roach - Contessa Nordston, Luke Newberry - Vasilij Lukic, Kenneth Collard - Principe Tverskoj, Raphaël Personnaz - Aleksej Aleksandrovic, Tannishtha Chatterjee - Masha, Buffy Davis - Agaf'ja, Emerald Fennell - Princeipessa Merkalova, Hera Hilmar - Varja, Max Bennett - Petrickij, Guro Nagelhus Schia - Annushka, Kyle Soller - Korsunskij, Freya Galpin - Masha Oblonskij, Beatrice Morrissey - Vasja Oblonskij, Cecily Morrissey - Lili Oblonskij, Theo Morrissey - Grisha Oblonskij, Octavia Morrissey - Tanya Oblonskij, Sam Cox - Kapitonic, Giles King - Stremov, Steve Evets - Theodore, Bodil Blain - Principessa Sorokina, Cara Delevingne - Principessa Sorokina, Thomas Howes - Jasvin, Antony Byrne - Colonnello Demin, Jude Monk McGowan - Tuskevitch, David Wilmot - Nikolai, Henry Lloyd Hughes - Burisov, Susanne Lothar - Principessa Shcherbatsky, Pip Torrens - Principe Shcherbatsky, Oskar McNamara - Serjoza, Bryan Hands - Sljudin, Carl Grose - Kornej, Aruhan Galieva - Aruhan, Eric MacLennan - Matvej, Marine Battier - Sig.na Roland

Soggetto: Lev Tolstoj - romanzo

Sceneggiatura: Tom Stoppard

Fotografia: Seamus McGarvey

Musiche: Dario Marianelli

Montaggio: Melanie Oliver

Scenografia: Sarah Greenwood

Arredamento: Katie Spencer

Costumi: Jacqueline Durran

Durata: 130

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: PANAVISION PANAFLEX MILLENNIUM XL2, 35 MM/D-CINEMA/DCP (1:2.35)

Tratto da: romanzo omonimo di Lev Tolstoj

Produzione: WORKING TITLE FILMS, STUDIO CANAL

Distribuzione: UNIVERSAL PICTURES INTERNATIONAL ITALY (2013)

Data uscita: 2013-02-21

TRAILER
NOTE
- COREOGRAFIE: SIDI LARBI CHERKAOUI.

- PRESENTATO AL 30. TORINO FILM FESTIVAL (2012) NELLA SEZIONE 'FESTA MOBILE'.

- OSCAR 2013 PER I MIGLIORI COSTUMI. LE ALTRE CANDIDATURE ERANO: MIGLIOR FOTOGRAFIA, COLONNA SONORA E SCENOGRAFIA.

- CANDIDATO AL DAVID DI DONATELLO 2013 COME MIGLIOR FILM DELL'UNIONE EUROPEA.
CRITICA
"L'idea su cui si regge tutto il film di Joe Wright è che ormai quella di Anna Karenina non è più una «semplice» storia (per bella e appassionante che sia) ma piuttosto una specie di «copione» universale, di «canovaccio» all'interno del quale non agiscono dei personaggi ma piuttosto degli stati d'animo, dei sentimenti riconoscibili - l'Amore, il Tradimento, l'Onore, la Vendetta, la Colpa - e per questo eterni, dei «canoni» di comportamento talmente ben raccontati e definiti da poterli a propria volta mettere in scena. Come se non avessero più bisogno di essere calati dentro la carne e il sangue delle persone ma potessero vivere di vita propria. Come una volta le maschere dell'arte. Ecco allora che il luogo ideale per raccontare in questo modo 'Anna Karenina' non è più la «realtà» del cinema ma piuttosto la «finzione» del teatro. E infatti nella prima scena le immagini ci dicono che siamo seduti in platea, mentre il sipario di velluto si apre davanti a noi. E solo la magia della macchina da presa ogni tanto cancella le dimensioni del palcoscenico per aprire lo sguardo oltre quelle quinte e quei fondali, giocando come a rimpiattino tra illusione e realismo, tra artificio e verosimiglianza. (...) Si riconosce, in questo gioco di specchi e di rimandi, la mano dello sceneggiatore Tom Stoppard, che aveva già messo in pratica questi scambi tra realtà, fantasia e letteratura in 'Rosencrantz e Guilderstern sono morti' e più recentemente nel fortunato 'Shakespeare in Love'. Là come qui la verità letteraria lascia ogni tanto il campo alla più esibita delle finzioni, con cui sottolineare quella universalità simbolica di cui si diceva prima. Alcune invenzioni sono decisamente azzeccate e affascinanti, a cominciare dal valzer in cui Karenina e Vronskij si confessano reciprocamente e tacitamente il proprio amore: un infinito carrello circolare che scatena la fisicità dei due (futuri) amanti in un gioco di mani, braccia, corpi e sguardi che non ha più niente delle regole del ballo e tutto dell'amplesso e della passione. Così come è piuttosto geniale l'utilizzo del gioco dello Scarabeo per permettere al timido Levin (Domhnall Gleeson) di dichiarare il suo amore per la virtuosa Kitty (Alicia Vikander). O ancora l'improvvisa profondità del palcoscenico che sottolinea la perdita del figlio da parte della fedifraga Anna. Altre volte, però, questo gioco segna il passo e soprattutto rischia di appesantire la rappresentazione della passione, soffocando l'efficacia del melò e riducendo, per troppa «finzione», la sua credibilità e la sua forza di coinvolgimento. Il che - se ci possiamo permettere - non sarebbe piaciuto molto né a Tolstoj né ai suoi milioni di lettori". (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 19 Febbraio 2013)

"'Anna Karenina' è però soggetta a un suo eterno ritorno e così rieccola, dopo 16 anni da quella lacrimosa di Sophie Marceau, con il viso appassionato e lunare di Keira Knightley; un'Anna così sofferente di umiliazioni e morfina, che potrebbe essere appena uscita dai sadomasochismi del dottor Jung ('A Dangerous Method'). Ma Joe Wright, regista, e Tom Stoppard, sceneggiatore, hanno avuto un colpo di genio: la loro storia non si svolge tra Mosca e San Pietroburgo nel 1874, ma sul palcoscenico senza tempo di un vecchio teatro, nel labirinto dietro le quinte, tra la polvere degli oggetti di scena, in cui irrompe la vita e che si spalanca alla vita; opera, operetta, musical, dramma, lanterna magica, circo e infine cinema, più veri, credibili e vorticosi della realtà. Sconcerto tra le signore che si aspettano la classica immortale storia di lacrime e identificazione? No, perché non manca nessun amore, felice o disperato, puro o peccaminoso, e comunque sempre romantico. Tolstoj che si rivolta nella tomba perché il suo romanzo è soprattutto il ritratto di una società, oggi irriproducibile, quella della Russia Imperiale del XIX secolo, mentre tutto quel cinefluttuare a tempo di valzer tra recita e vita gli potrebbe sembrare personale blasfemia? No, perché il film non prova nemmeno a riprodurre il senso di un'epoca scomparsa ma, dando alla storia il ritmo di una reinvenzione teatrale, consente alla fantasia di immaginarsi un Tolstoj personale e contemporaneo anche se in costume. (...) Il problema è, dal punto di vista degli spettatori: com'è possibile che Anna-Knightley, a Karenin-Jude Law, che pur dietro occhialini, barba, basette, baffi tipo zar Nicola II emana una severità dolorosa, appassionata e sexissima, preferisca Vronsky-Aaron Taylor-Johnson, che sembra Gene Wilder? Anna Karenina, resa meravigliosa da cappellini, velette, 'aigrettes', piume, pellicce, strascichi, colbacchi, esce dal passato con i suoi incantevoli costumi alla 'polonaise', col sellino fine Ottocento, però rivisto con lo stile alta moda del 1950: e i sontuosi gioielli che illuminano il candore del suo lungo collo sono di Chanel, del cui profumo la Knightley è testimonial. Siamo in un teatro senza tempo, in una storia tra recita e sogno, cosicché proprio le scene di massa che richiederebbero spazi grandiosi magari digitali, vengono racchiuse in quello angusto di una platea vuota; come il grande ballo in cui inizierà la funesta passione, con le comparse immobili come statue, e l'inesausta danza tra Vronsky e Anna, la sola, tra le dame in leggiadre crinoline color pastello, vestita di tenebroso nero, come racconta Tolstoj per segnalarne la seduzione". (Natalia Aspesi, 'La Repubblica', 19 Febbraio 2013)

"Tra cinema e TV, 'Anna Karenina' di Tolstoj continua a tenere banco. Questa volta ci si è messo un regista come Joe Wright soprattutto specializzato in riduzioni di testi letterari: 'Orgoglio e pregiudizio' da Jane Austen, 'Espiazione' da McEwan. Per il celebratissimo romanzo d'amore e morte di Tolstoj ha scelto una formula, da un punto di vista di regia, piuttosto interessante, quella di rinunciare a riprese dal vero optando invece per uno studio cinematografico da cui non è quasi mai uscito e in cui ha proposto tutto come se si svolgesse sul palcoscenico di un teatro ottocentesco, il sipario che si alza, le luci della ribalta nello sfondo e l'alternarsi degli attori quasi a passo di danza in un susseguirsi di quinte e di fondali in cui potesse collocarsi la rappresentazione del romanzo riletto con impeti sinceri dal noto drammaturgo inglese Tom Stoppard. Tutto secondo Tolstoj, perciò. (...) Joe Wright, seguendo Stoppard che seguiva Tolstoj, è sembrato però occuparsi molto più della sua trovata di regia, indubbiamente suggestiva, che non dei sentimenti. Vi ha dato rilievo, certo, ma un po' a distanza, affidando anche le vicende di contorno a climi in cui, oltre ai continui esperimenti di regia, domina quasi soltanto una ricostruzione d'epoca prodiga di ricchi costumi e di scenografie sontuose, messe comunque in rilievo dalla fotografia di Seamus McGarvey già responsabile di quella di 'Espiazione'. (...) Keira Knightley per la terza volta con Wright, è Anna ed è persino troppo facile preferirle Greta Garbo sia nel film di Edmund Goulding, sia in quello di Clarence Brown. Vronsky è Aaron Taylor-Johnson, un attore inglese che, un po' bamboccione, non può certo confrontarsi con Fredric March nello stesso ruolo". (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo Roma', 19 Febbraio 2013)

"Vietati i rimpianti. E non perché quest' ultimi - legati alle numerose versioni cinematografiche di 'Anna Karenina' - siano infondati, ma proprio perché le gamme tradizionali di trasposizione sono state ampiamente esplorate già a partire dall'età del muto. Ai giorni nostri, vogliamo dire, un revival del capolavoro di Tolstoj può avere senso rielaborandosi come fa il film candidato a quattro Oscar del regista Wright e lo sceneggiatore Stoppard ovvero sarebbe destinato a scoprirsi inutile o manieristico. Può conquistare o meno l'emozione dello spettatore, insomma, ma l'effetto di straniamento che rispetta i costumi, le ambientazioni, l'intreccio, però sviluppandoli sul palcoscenico e dietro le quinte di un anticato teatro/set/circo, costituisce una buona soluzione dei problemi d'assuefazione e d'anacronismo; inoltre, la rilettura del romanzo operata dal duo very british mentre allontana (ferendo a morte i cinéfili) il melò estremo incarnato dall'algido fulgore della Garbo, corregge la più diffusa forzatura del testo. Quella, cioè, connessa alla natura della fedifraga Anna, che non è o non è solo una tragica, sacrale eroina vittima della «morale» della Russia zarista (e magari di sempre), bensì un'egocentrica, impulsiva e persino un po' isterica sfidante dell'ipocrisia, della claustrofobia e del decoro societari. Tali qualità s'adattano alla fisionomia e alla recitazione della Knightley, la cui Anna risulta credibile perché naturalmente moderna sia nella scandalosa e infelice passione per il biondo e riccioluto conte Vronsky, sia nello scontro che rifiuta i compromessi suggeritigli un po' da tutti con il gelido consorte senatore Karenin, sia nell'entrare e uscire dal 1874 indossando magnifici abiti, pellicce, accessori che puntano a sembrare sofisticatamente vintage. Rispetto agli altri adattamenti, il film concede più spazio al parallelo connubio tra l'alter ego Tolstoiano Levin e la virginale Kitty, il possidente umanitario e la donna-madre che materializzano, con un surplus metaforico tipico dello Stoppard di 'Shakespeare in Love', l'ideale pre-rivoluzionario di una nazione pacificata e solidale tra classi alte e classi basse. Nell'insieme il film scorre fluido su di una mappa pressoché coreografica (nel ricordo del 'Moulin Rouge' di Luhrmann) perché, come abbiamo premesso, non costringe tutta la sua energia nella morsa dell'esibita finzione e, anzi, chiede spesso alla cinepresa d'infrangerla; come accade nella stupenda sequenza del valzer galeotto in cui l'immobilità innaturale degli astanti serve a fare percepire come Anna e Vronsky stanno in realtà facendo l'amore". (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 21 Febbraio 2013)

"Cos'altro dunque può aggiungere, nel bene e nel male, alla vicenda cinematografica di questa eroina ottocentesca la versione di Joe Wright con la diafana Keira Knigthley? Eppure, siamo stati fin da subito conquistati dal dispositivo che il regista e lo sceneggiatore (Tom Stoppard, quello di 'Shakespeare in Love') hanno utilizzato per mettere in scena quest'archetipo letterario. Qualcuno vi dirà il «teatro», giacché la storia s'ambienta dichiaratamente negli spazi di un vecchio teatro, tra il palcoscenico, le quinte, la platea, l'attrezzeria, il foyer.... Ma non è solo questo, e soprattutto non si tratta di una versione teatrale del celebre romanzo. Joe Wright compie idealmente un'altra operazione: immagina che gli spiriti di questa storia d'amore immortale siano rimasti imprigionati per sempre tra i legni di un vecchio teatro, come se questa vicenda letteraria avesse ormai perso qualsiasi possibilità di una rivisitazione realista e fosse assurta a puro immaginario, fosse tornata ad essere l'essenza stessa di una messa in scena, di un racconto. Ecco, è attraverso l'esposizione dichiarata della macchina scenica, in un continuo entrare e uscire tra finzione e «realtà», ormai del tutto mistificata, che si compie ed esaurisce la storia tra Anna e il suo giovane milite, in una Russia sognata. Il film inizia dalla platea di un teatro, innanzi alla quale s'erge un sipario di velluto pesante che s'apre per magia con l'avanzare dello sguardo rivelando la scena e i suoi «attori», presi a vivere i loro personaggi. Non sono attori che recitano Anna Karenina, il marito senatore, l'ufficiale Vronsky... loro sono l'essenza stessa di quei personaggi; il teatro, adesso, non è più un luogo fisico, ma è uno spazio immaginario da cui si può evadere, e si evade, ogni qualvolta la scena lo imponga, portandoci sulla distesa immensa di un prato verde, testimone muto dell'amore adulterino, o sui binari di un treno, in una stazione giocattolo, tra modellismo e immensa scenografia. Ecco, quello che ci ha affascinato di questa rilettura è proprio l'invenzione della macchina scenica, l'essere riusciti a calare le pene d'amor ottocentesco in una macchina sognante che riesce ad evocare in un sol colpo le tante forme di rappresentazione, dal teatro delle marionette al circo, dalla lanterna magica al cinema, balzando dall'una all'altra con grandissima libertà, rintracciando nei più diversi generi (opera, operetta, melodramma, musical, teatro di parola...) il senso di una storia eterna. (...) Non si tratta, mai, di puro esercizio di stile, perché l'abbraccio tra la vicenda e la sua rappresentazione, tra l'essenza della prima e la forza della seconda, è avvincente". (Dario Zonta, 'L'Unità', 21 Febbraio 2013)

"Comprensibile che, di fronte alla difficoltà di tradurre sullo schermo un così complesso tessuto narrativo, i molti film ispirati al romanzo abbiano scelto di concentrarsi sulla storia della sventurata eroina del titolo, che paga con il suicidio la sua ribellione alle ipocrite regole sociali. Joe Wright e il suo sceneggiatore, il drammaturgo Tom Stoppard, hanno preso analoga strada con una radicalizzazione interessante: se parliamo di una società frivola che alla verità privilegia la finzione, se la vita è dunque un teatro, allora che teatro sia! Cosicché il film - sontuoso e illuminato da presenze divistiche (Keira Knightley, Jude Law, l'emergente Aaron Taylor-Johnson) - è giocato fra palcoscenico, quinte, platea, palchi, ridotti (con rarissimi esterni); e montato e coreografato come un musical (...) L'idea ha un senso e, a tratti, un fascino: però lascia poco spazio per gli interpreti migliori (del Karenin di Jude Law vorremmo vederne di più), riduce a una figuretta un protagonista assoluto qual è Levin e soprattutto rischia di soffocare, piuttosto che esaltare, l'emozione. Insomma, lo spettacolo è impeccabile, ma l'artificio non dovrebbe mai uccidere la vita". (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 21 Febbraio 2013)

"L'immortale romanzo di Tolstoj nelle mani di Joe Wright acquista il ritmo e le movenze di una danza spumeggiante, con risvolti drammatici. (...) Gli amanti del grande russo noteranno la banalizzazione rispetto al libro delle figure di Kitty (Alicia Vikander) e Constantin Levin (Domhnall Gleeson) e l'accentuata umanizzazione di Karenin. Ma il sacrificio ha senso per lasciar spazio alla coppia il cui amore, che si snoda tra le quinte di un teatro, assume un carattere atemporale e universale". (Cristina Battocletti, 'Il Sole 24 ore', 20 Febbraio 2013)

"Nelle versioni «maschiliste» del romanzo di Tolstoj, il ritiro in buon ordine del conte era visto come naturale istinto di conservazione (assecondando quella matta andava a picco con lei). Questa firmata da Joe Wright, ma soprattutto scritta dal drammaturgo Tom Stoppard, è decisamente femminista. Anna nonostante le mattane rimane una gran donna, e Vronsky una mezza cartuccia, un appartenente alla folta schiera dei belli ma fasulli. (...) Keira è invece credibile come donna perfetta all'inizio, sfrenata nella sbandata amorosa, terribilmente sola nel finale. E poi fascinosissima nel proverbiale abito da sera nero che infilano a tutte le Karenine. Le dolenti note arrivano semmai nel reparto maschile. Se Jude Law non è del tutto fuori parte come marito «cocu» (entrambi, personaggio e interprete son ghiaccioli) il bambolotto Aaron Johnson è di gran lunga il Vronsky più fallimentare della storia. Va bene oggetto del desiderio indegno del desiderio, va bene bello e fatuo, ma il suo conte sembra uscito da una bomboniera. Non è umanamente possibile che possa destare la passione di una donna come Anna. Solo quella di un collezionista di chicchere. Joe Wright. Qualcuno lo considera un genio della regia. E si scandalizza constatando come la Karenina sia rimasta parecchio indietro nella corsa agli Oscar. Da parte nostra lo riteniamo un bel facitore di spettacoli ('Espiazione' rimane il suo titolo migliore) ma più brillante che profondo. Ti appaga spesso l'occhio mai il cervello. (...) La trovata del «teatro nel teatro» (le scene son tutte girate su tre set)? Già vista. Rispolverata in maniera non brillantissima. E tutto sommato inutile". (Giorgio Carbone, 'Libero', 21 Febbraio 2012)

"Raffinato, sontuoso e emozionante melò, ennesima, finalmente magnifica, trasposizione del fluviale romanzo di Tolstoj. La grande trovata, che deluderà il pubblico della domenica, è l'ambientazione teatrale. Quattro nomination (fotografia, languo-rosa colonna sonora, scenografia e costumi), ma sarebbe stata meritata una quinta alla splendida Keira Knightley, travolta dalla passione. E' davvero superlativa a fingere di soffrire per un insulso damerino." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 21 febbraio 2013)

"Wright, con alle spalle rivisitazioni letterarie da 'Orgoglio e pregiudizio' a 'Espiazione', gioca il suo progetto sulla finzione scoperta: tutti gli interni sono mostrati come un palcoscenico teatrale con fondali, truccherie, sipario, scale che non conducono al soffitto dei riflettori ma in una strada di Mosca. Dunque, un dichiarato processo di straniamento: lo spettatore deve essere conscio sempre e comunque di assistere a una rappresentazione. Il copione di Tom Stoppard è galeotto nella soluzione radicale, ma, non abbiano paura i lettori fedeli del grande maestro di Santa Madre Russia, rispetta l'intreccio. (...) I treni che corrono hanno la stessa andatura che Wright ha voluto imporre al suo esercizio di stile. Un ritmo alto che nega sia il tempo più delirato del melodramma sia un facile ricorso alle sole lacrime per un adulterio che non è un peccato ma una via di fuga da una società perbenista, da una aristocrazia che bada alla forma e alle apparenze vietandosi qualsiasi giro di valzer con lo scandalo. (...) La regia allestisce un musical che non è un musical: meglio un'operetta dove non si canta, ma in cui i movimenti di attori e macchina da presa rispondono a una precisa mappa coreografica, lasciandosi travolgere da una gestualità da balletto che ha relegato tutù e scarpine nel guardaroba. Wright colloca Anna in una specie di bolla di sapone che danza sulla sconvenienza, legandola, anche indirettamente, con Madame Bovary, Margherita Gauthier o la Satine di Nicole Kidman del 'Moulin Rouge' di Baz Luhrmann con il quale è imparentato, con la sola esclusione dell'ironia proprio per non aggiungere al catalogo dei modelli pure la splendida erede della 'Vedova allegra'. Dunque, Tolstoj sì ma sino a un certo punto. Per Wright non è più l'era di restare in ginocchio quando si spalanca la copertina di un sacro testo, ma si può irrompere dentro alle pagine con il vento di un'iconoclastia misurata che punta all'infedeltà nella fedeltà (...) L'allestimento appaga gli occhi nella sua eleganza, lucida le prove argentee di Keira Knightley, Jude Law e Aaron Johnson, ma la sottrazione dell'emozione, quella sopra le righe del melò, lascia i personaggi come soffocati dalla pantomima teatrale, schiacciati alla dimensione di statuine agitate dalle note di uno stucchevole carillon. E dire che il solo volto della Garbo già sprigionava mistero e passione". (Natalino Bruzzone, 'Il Secolo XIX', 16 Febbraio 2013)