Munich
- Regia:
- Attori: - Avner, - Steve, - Ephraim, - Robert, - Hans, - Carl, - Louis, - Papa, - Daphna, moglie di Avner, - Madre di Avner, - Andreas, - Sylvie, - Yvonne, - Jeanette, - Tony, amico di Andreas, - Generale Zamir, - Golda Meir, - Generale Yariv, - Mike Harari, - Avvocato Meir Shamgar, - Ministro, - Generale Nadev, - Generale Hofi, - Contabile del Mossad, - Soldato israeliano con Zamir, - Wael Zwaiter, - Mahmoud Hamshari, - Marie Claude Hamshari, - Amina Hamshari, - Hussein Abad Al-Chir, - Novello sposo, - Novella sposa, - Zaid Muchassi, - Abu Youssef, - Kamal Edwan, - Kamal Nasser, - Moglie di Adwan, - Ehud Barak, - Uomo del commando, - Uomo del commando, - Guardia araba/Commando, - Guardia araba, - Guardia araba, - Guardia araba, - Guardia araba, - Anziano libanese, - Moglie di Yussef, - Ali, - Anziano palestinese, - Palestinese, - Giovane palestinese, - Portiere dell'Aristides, - Connessione KGB, - Connessione KGB, - Moglie di Papa, - Ali Hassan Salameh, - Guardia Salameh, - Americano belligerante, - Americano belligerante, - Americano belligerante, - Soldato all'aeroporto di Tel Aviv, - Soldato all'aeroporto di Tel Aviv, - Viceconsole israeliano, - Segretaria al Consolato, - Issa, - Tony 'Il cowboy', - Badran/Mohammed Safed, - Samir/Jamal Al-Gashey, - Paulo, - Saleh, - Abu Halla, - Moshe Weinberg, - Yossef Romano, - Yosef Guttfreund, - Tuvia Sokolovsky, - Kehat Schur, - Andre Spitzer, - Yaakov, - Eliezaar Halfen, - Mark Slavin, - Zeev Friedman, - Gad Tsabari, - Atleta americano, - Atleta americano, - Telespettatrice palestinese, - Telespettatrice palestinese, - Rifugiata, - Rifugiata, - Reporter tedesco in metro, - Conduttore TG israeliano, - Conduttrice TG israeliana, - Dirigente della banca svizzera, - Anziano nel bar di Haifa, - Telespettatrice israeliana, - Telespettatrice israeliana, - Reporter francese in metro, - Reporter spagnolo in metro, - Reporter arabo in metro, - Componente troupe di Monaco, - Componente troupe di Monaco, - Fotografo a Monaco, - Componente troupe a Fürstenfeldbruck, - Componente troupe a Fürstenfeldbruck
- Soggetto: George Jonas - (libro)
- Sceneggiatura: Tony Kushner, Eric Roth, Charles Randolph
- Fotografia: Janusz Kaminski
- Musiche: John Williams
- Montaggio: Michael Kahn
- Scenografia: Rick Carter
- Arredamento: John A. Bushelman
- Costumi: Joanna Johnston
- Effetti: Ferenc Deák, Joss Williams, Pablo Helman, Pacific Title & Art Studio, Industrial Light & Magic (ILM)
-
Altri titoli:
Vengeance
Untitled 1972 Munich Olympics Project - Durata: 160'
- Colore: C
- Genere: DRAMMATICO, STORICO, THRILLER
- Specifiche tecniche: 35 MM, TECHNICOLOR
- Tratto da: libro "Vengeance: The True Story of an Israeli Counter-Terrorist Team" di George Jonas
- Produzione: STEVEN SPIELBERG, KATHLEEN KENNEDY, BARRY MENDEL, COLIN WILSON PER UNIVERSAL PICTURES, DREAMWORKS SKG, AMBLIN ENTERTAINMENT, KENNEDY/MARSHALL COMPANY, ALLIANCE ATLANTIS COMMUNICATIONS
- Distribuzione: UIP (2006)
- Vietato 14
- Data uscita 27 Gennaio 2006
TRAILER
RECENSIONE
Mentre il presidente iraniano Ahmadinejad nega l’Olocausto e chiede la cancellazione dello Stato ebraico dalle carte geografiche, Steven Spielberg esce nei cinema con una storia che fa rabbrividire. Soprattutto se a raccontare quel settembre nero del ’72, con sguardo lucido e quasi imparziale, è l’uomo della Shoah, regista stimato negli ambienti più conservatori. Spielberg, che sapeva dove sarebbe andato a finire, non voleva farlo. Aveva rifiutato tre volte il soggetto. Ci sono voluti cinque anni e molte pressioni dalla sua amica e partner di produzione Kathleen Kennedy per convincerlo. Munich – in uscita nelle sale italiane il 27 gennaio – è ispirato al libro Vengeance del canadese Gorge Jonas, ma lo sceneggiatore premio Pulitzer Tony Kushner ha riscritto tutta la trama (tu pensi alle parole, gli ha detto Spielberg, io alle immagini). Non ci sono eroi come in Schindler’s List, alcune scene hanno l’impatto violento di Salvate il soldato Ryan. I fatti sono quelli del settembre 1972, quando a Monaco avvenne l’impensabile: l’inizio del terrorismo internazionale. In un luogo e in un tempo deputati alla festa, in pieno svolgimento dei giochi olimpici, un gruppo di giovani in abbigliamento sportivo si introduce negli alloggi israeliani. Sono terroristi palestinesi che prendono in ostaggio undici atleti e, falliti i tentativi di riscatto, li ammazzano tutti. Le immagini sono drammatiche, la televisione è già uno strumento potentissimo: sia i terroristi che le famiglie delle vittime seguono in diretta, minuto dopo minuto, le mosse della polizia tedesca e le morti dei loro cari. Si scatena l’inferno, sangue, fuoco, morte. La reazione di Israele non tarda ad arrivare. Nella casa di Gerusalemme, dove si tiene l’incontro segreto e decisivo con i generali e i responsabili dei servizi segreti, il primo ministro, la signora Golda Meir, dà il via al contrattacco, altrettanto violento, con una frase sibillina: “Oggi abbiamo scoperto che ogni civiltà deve negoziare i suoi più alti valori con molti compromessi”. Tra i convocati c’è Avner (Eric Bana), burocrate del Mossad senza esperienza, figlio di un eroe di guerra ed ex body guard della Meir. Da Ginevra a Francoforte, da Roma a Parigi, Londra e persino Beirut (territorio proibito), Avner e il suo plotone si muovono dapprima tentennando poi con sempre maggiore sicurezza e sempre maggiore sete di vendetta. Per avere informazioni e contatti spendono cifre incredibili, il tramite è un giovane francese che appartiene a una famiglia indipendente da qualsiasi governo e nazione. Scoprono così che il terrorista più pericoloso, uno dei mandanti del massacro di Monaco è protetto anche dalla Cia, che lo paga perché abbia un occhio di riguardo nei confronti dei diplomatici anglosassoni. A un’ora e mezza dall’inizio Munich sembra parteggiare per gli israeliani, Avner e i suoi sono attentissimi a non fare vittime tra i civili, si pongono interrogativi morali tipo: chi stiamo davvero uccidendo? Sarà la fine del terrorismo? Poi tutto cambia. Popoli, nazionalità, ragioni, cause, effetti. Cadono i cliché. Più che un film per la pace, sembra una presa di coscienza drammatica, un’invocazione disperata…
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NOTE
CRITICA
"'Munich' di Steven Spielberg parte alla grande con un allucinante quarto d' ora di spettacolo che sembra preludere a un capolavoro. (...) Il seguito dei 164 minuti di Munich, lungi dal soddisfare l'attesa del capolavoro annunciato, rientra nei canoni del film d'azione: la determinazione di Avner che si stempera in un crescendo di dubbi sulla legittimità della missione anche alla luce di alcuni tragici errori, la caratterizzazione dei kidonim, il thrilling degli attentati dove la parafrasi hitchcockiana è a volte guastata da un ambientazione non sempre all'altezza (quella Roma girata a La Valletta per ragioni di economia è inaccettabile). Per non parlare della sequenza in sottofinale quando Avner facendo l'amore con la moglie non riesce a togliersi dalla testa la strage di Monaco. Per cui Jérome Garcin su le 'Nouvelle Observateur' ha scritto: 'Di un cattivo gusto insuperabile, questo montaggio parallelo basta a contrassegnare il disastro del film'. Più condivisibili gli equilibrati rilievi di Todd McCarthy su 'Variety': racconto servito con professionalità e tuttavia troppo lungo, due ore bastavano; schema 'Dieci piccoli indiani', ovvero i morti centellinati in serie alla Agatha Christie, a rischio di noia; protagonista moscio. Sottoscrivo tutto, aggiungendo un elogio per Geoffrey Rush nel ruolo ambiguo del referente governativo, purché non vada sottovalutato il messaggio del film: non è il perdono la migliore vendetta, ma la trattativa." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 27 gennaio 2006)
"E' un film da 'non mancare' non perché sia eccezionalmente bello. Ma per il suo contenuto, per come Spielberg - ebreo impegnato nella difesa della memoria delle persecuzioni e della causa israeliana - lo ha trattato. (...) Si è detto, non senza spunti polemici, che Spielberg è giustificazionista verso i palestinesi; e lui ha risposto di non credere all'escalation delle armi ma alla trattativa, aggiungendo di essere pronto a dare la vita per Israele. Eppure la sensazione è che il film lascia è quella che non ci sarà mai scampo, che le reciproche ostilità e paure sono troppe perché si riesca a far tacere le armi. Forse Spielberg non voleva, ma il magone con cui esce dal film è questo." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 27 gennaio 2006)
"Che re Steven sia uno dei massimi registi della nostra epoca è un fatto acclarato. Che il suo pragmatismo e la sua generosità professionale lo portino a toccare alti e bassi, altrettanto. Basta confrontare lo straordinario prologo (l'azione terroristica che ritornerà nei successivi flash-back) con il pessimo finale (l'amore coniugale in montaggio alternato con i rimorsi) di 'Munich' per confermarlo. Questo film possente e, appunto, disuguale verifica un altro topos spielberghiano, quello che il collega Bruzzone ha acutamente denominato la tortura della coperta: puntualmente tirato da una parte e dall'altra, il regista sembra nato per alimentare le opposte fazioni politiche e cinéfile. Mentre i sinistri vessilli di Hamas sventolano sul Parlamento palestinese, 'Munich' non fornisce, in effetti, risposte perentorie e tantomeno definitive, ma si limita a inscenare una riflessione sulla ragion di stato e sull'efficacia della vendetta che travalica e forse penalizza la modica quantità dell'opinione personale. In fondo, lo spettatore si ritrova ad assistere a un buon thriller spionistico, a tratti veristico a tratti romanzato, chiaramente ispirato allo stile del cinema americano degli anni Settanta ('I tre giorni del condor'); mentre il contrappunto del travaglio morale dell'antieroe protagonista (il modesto Eric Bana) non ha la forza di elaborare una tesi inedita, convincente e, soprattutto, spendibile nell'attualità. (...) Accantonato, giocoforza, il presunto messaggio scottante, si deve riconoscere il nerbo registico: suspense calibrata, ambientazioni e fotografia suggestive, movimenti ampi e sicuri della macchina da presa, ossessioni e paure che si rapprendono e si sciolgono nell'adrenalina delle esecuzioni. Per fortuna Spielberg, anche quando cerca d'imitare il complottismo venato di allusioni oracolari alla Le Carré (chi sarà mai il patriarca francese che si mette al servizio di qualsiasi gruppuscolo disposto a pagare?), non tradisce la vocazione al puro spettacolo, ai ritmi incalzanti, all'intelligenza dei dettagli, insomma al suo stile ad alta definizione popolare." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 28 gennaio 2006)
"Tutto il film è incentrato su questo personaggio che si muove come all'interno di un thriller, sicario non di professione ma per fede politica. E' bene ricordare che Spielberg è un ebreo della diaspora che crede fermamente allo stato di Israele, pur avendo in alcune occasioni manifestato la sua contrarietà ad alcuni interventi di rappresaglia e ritorsione. In altre parole: nell'universo del regista americano è l'uomo in quanto persona che prevale e che è al centro dell'interesse della sua macchina da presa. (...) Spielberg è molto bravo a portarci dentro l'orrore e, al contempo, a misurare i possibili drammi dopo l'evento di sangue. Si sa che la violenza può essere descritta fondamentalmente in due modi, cioé da un punto di vista metafisico, come nel "Diavolo probabilmente" di Robert Bresson o "Cul de sac" di Roman Polanski, oppure totalmente immersi nella realtà, dall'interno dei fatti e delle azioni. Il regista americano ha scelto questo secondo sguardo, senza cadere nella platealità e nell'effettaccio, come invece capitava con l'eccessiva insistenza nella parte iniziale di "Salvate il soldato Ryan" (...) L'incipit di "Munich" è cinematograficamente perfetto: sembra, come ha annotato il critico Paolo Escobar, un gioco di specchi che si riflettono nel loro perfetto e crudele equilibrio. E' l'equilibrio del terrrore che, con un montaggio magistrale su un'altrettanto magistrale "sceneggiatura di ferro", ci introduce nella vicenda come un proemio che in se stesso ha già al proprio interno l'umore del significato globale del film. Ripeto: è la violenza assolutamente non voluta che non è pensata solo per tenere desta l'attenzione, ma per creare l'effetto d'orrore nei confronti dell'uccisione e delle modalità attraverso le quali questa si attua. (...) Il regista sembra dirci, e alla fine ciò appare palesemente. che l'autentico amore di un ebreo per Israele non può accettare il "do ut des" di ogni forma di vendetta." (Franco Patruno, L'Osservatore Romano, 4 febbrario 2006)