"Un testo nudo nella verità del vissuto, nella semplicità delle prime emozioni" ha scritto Tahar Ben Jelloun del libro Il pane nudo di Mohammed Choukri. Analogamente si può dire del film di Rachid Benhadj, a cui ha collaborato lo stesso scrittore marocchino, morto nel 2003. Lo stile scarno, crudo, emozionante del best–seller autobiografico di Choukri (fu candidato al Nobel per la letteratura) rivive nel film. Sullo schermo scorre impietosa la terribile infanzia del piccolo Mohamed, vittima della miseria e di un padre violento, che ne picchia la madre indifesa e gli uccide il fratellino perché piange troppo. Mohamed è come i suoi coetanei della Tangeri del '42, un monello che si ciba dai cassonetti dei quartieri degli occidentali, dove anche i rifiuti sono migliori. La fuga, da adolescente. Ma Tangeri è fatta di povertà, prostituzione, violenza per i meno fortunati. Quella di Mohammed è anche fuga verso la libertà, una libertà che, ventenne, trova in prigione grazie al potere del sapere. Perché la miseria più grande non è quella vissuta fino ad allora, ma è l'ignoranza. In carcere - costruito dal regista come una grotta, simbolo delle origini dell'uomo - Mohamed conosce un rivoluzionario che gli insegna a leggere e a scrivere. La sua vita cambia. Prima maestro, poi scrittore. Benhadj, che già aveva emozionato con Mirka, riesce a trasportare sullo schermo con grande abilità uno dei romanzi più belli e duri allo stesso tempo della letteratura araba. I tre volti di Mohamed - bambino, adolescente, adulto - vedono avvicendarsi dei giovani attori di grande talento che lasciano il posto all'adulto Saïd Taghmaoui (co-protagonista de L'odio). Tra le attrici due ruoli fondamentali e antitetici: la madre/martire (Soraya Arterse) e la ammaliatrice un po' folle e un po' demone (Marzia Tedeschi). Miseria, violenza, amicizia, amore, determinazione, salvezza si susseguono quali leitmotiv del film di Benhhadj, che nelle immagini "povere" trova la forza del cammino verso la speranza.