Una vita può essere semplice, anzi semplicissima, e custodire in sé un amore estremamente complicato. Oppure no. Negli anni i sentimenti possono vincolarsi ad un minimo necessario di umanità, che vuol dire anche rispetto, o essere intessuti da fili impenetrabili che legano pian piano e spesso invisibilmente individui diversi, accomunandone destini. Accade a Roger, che di questi fili non se ne cura inizialmente, e a Ah Tao che, invece, ne ricama tutta la sua esistenza. Lui fa il produttore cinematografico, bravo e onesto, lei la domestica di casa sua, da sessant'anni, di generazione in generazione, con fedeltà e premura. Un piccolo infarto nuoce irrevocabilmente alla sua materna efficienza e per questo decide di ritirarsi in una casa di risposo cittadina - siamo ad Hong Kong oggi - dove trova una nuova famiglia, vecchietti più o meno abbandonati e autosufficienti destinatari delle sue attenzioni e del suo sorriso. Roger non l'abbandona, però, e mentre passa il tempo e insieme cresce il debito di riconoscenza e diminuisce la salute dell'anziana donna, proprio questa assenza sempre più ampia crea nel bel giovane un vuoto insostituibile, mentre prende coscienza di quanto abbia significato e significhi per lui, ben al di là dei manicaretti succulenti con i quali l'ha viziato. E' l'assenza di una persona che marchia il cuore e la memoria e che la morte poi amplifica. Ann Hui, la regista simbolo della new wave hongkonghese e vincitrice dell'Orso d'argento a Berlino nel 1995 con Summer Snow, deve aver colto queste suggestioni nel corso dei colloqui con il suo vero produttore, Roger Lee, il quale man mano gli raccontava la storia della sua vera "Amah", ossia la sua domestica, che si era occupata di lui come un figlio. "Questa storia - confessa la regista cinese - ha subito toccato una corda dentro di me, perché ognuno di noi ha una persona come Tao nella sua vita". C'e da sperarlo.
Ispirato, dunque, a questo racconto minimo - e forse anche comune - è nato un film assolutamente non comune nella sua estetica essenziale, nell'approccio realistico, nel racconto poetico, con attori non professionisti che attorniano le splendide recitazioni di Andy Lau e di Deanie Ip, veramente da anni come madre e figlio. La spontaneità dell'attrice le ha fatto meritare la Coppa Volpi a Venezia (dove il film ha ricevuto anche il Premio La Navicella), preclaro esempio di recitazione controllatissima e spogliata di qualsiasi cenno che non sia la verità del vivere e della vecchiaia. Quando apre la cesta degli antichi ricordi, con la metodica cura di conservazione delle "buone cose" simile a quella che Gozzano sa descrivere attraverso l'amica di nonna Speranza - anche se son ben altre latitudini e secoli -, mentre porge a Roger scampoli di semplice saggezza, Deanie Ip fa vibrare il cuore, desiderare che qualcuno ci guardi così, ci parli così. Non è un sentimentalismo d'accatto, una finzione di cinema che tenta di ghermire le nostre corde più esposte, aggirando tabù tradizionali nella cultura occidentale come sono la vecchiaia e la morte. Non che la Cina sia esente dall'averne rimosso la presenza nello scorrere del tempo e dell'umanità, ma questo piccolo gioiello trasmette vibrazioni che qualsiasi altro magniloquente affresco non saprebbe minimamente innescare e mantenere.