Quel fischio. La camminata di Leo all'imbocco di Via Garibaldi, carico di buste, sotto il sole agostano di una Roma malinconica.

Quel fischio, inconfondibile, che Ennio Morricone andò a ripescare dal sodale Alessandro Alessandroni dopo averlo già reso immortale in Per un pugno di dollari (e anche in Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo) è il timbro ultimo con cui il celebre compositore firma la colonna sonora, regalo che Sergio Leone fece all'esordiente Carlo Verdone per la sua opera prima, Un sacco bello, che il 19 gennaio 1980 usciva nelle sale, prodotto proprio dal regista degli spaghetti western.

Leo e l'imprevista giornata trascorsa con la spagnola Marisol, Enzo e la travagliata, impossibile traversata verso Cravovia, Ruggero e il "sequestro" paterno in quel salotto dove Don Alfio e il professore dell'ottavo piano tentano, invano, di strapparlo alla vita da hippie.

Un sacco bello - @Medusa/Webphoto
Un sacco bello - @Medusa/Webphoto

Un sacco bello - @Medusa/Webphoto

Ancora oggi, a 43 anni esatti dall'uscita del film, le maschere verdoniane (nate sulla scia del grande successo televisivo ottenuto con Non Stop) restano impresse nella memoria di cultori che - certo, soprattutto a Roma, ma non solo - hanno fatto proprie alcune citazioni, gesti, situazioni - tanto di quei personaggi quanto dei comprimari (Mario Brega, certo, "E CHE MAA CHIAMI VIOLENZA!", ma anche il Sergio di Renato Scarpa e la Fiorenza di Isabella De Bernardi - "Attento fascio..." - entrambi recentemente scomparsi, o gli infermieri/portantini dell'ospedale, capitanati da Luciano Bonanni, che danno spago ai racconti del mitomane Enzo, "L'hanno ripescato venti giorni dopo, io ce stavo"...).

Ogni situazione, ogni dialogo, ogni mimica facciale (gli occhi al cielo di Leo "In che senso?", l'occhio guercio di Don Alfio, il sopracciglio del professore dell'ottavo piano "Mio figlio Gabriele...", il "CHEPPPALLLE!" di Ruggero), ogni cosa in Un sacco bello diventa meme ante litteram (l'amico di Martucci...): maschere nate dall’osservazione sul reale di Verdone (e che nel corso degli anni, paradossalmente, hanno così inciso sulla realtà da diventare a loro volta antesignane di nuove persone, vere), che tentano di nascondere, mascherare appunto, quel sottofondo triste, solitario, di una Roma ferragostana dove in lontananza esplode una bomba, dove gli animali dello zoo dormono rintanati cercando riparo dal sole, dove Enzo prova a ripartire (con l'amico di Martucci) alla volta di Cracovia lasciando però un'enorme chiazza d'olio sotto la macchina, dove Leo – di nuovo solo – rischia di far cadere l'ennesima busta della spesa tra Porta Settimiana e l'inizio di Via Garibaldi.

E poi il fischio. Quel fischio.