Da dove deriva il tipico modo di Sordi di entrare in un luogo sempre un po' di sbieco, mai diritto? Dall’abitudine giovanile, quando lavorava nel varietà, di entrare in scena dalle quinte del teatro. Lo sostiene la giornalista Grazia Livi in un suo libro sull’attore del 1967 (Longanesi). Può darsi che sia invece uno dei comportamenti peculiari dei personaggi sordiani, il loro presentarsi indiretto, di traverso, come a insinuarsi fra gli altri per poi adeguarsi alla situazione e rovesciare magari l'aspetto inizialmente ossequioso in prepotenza.

È certo, comunque, che il varietà abbia contato moltissimo nella formazione del Nostro. Si sa che questo tipo di spettacolo, praticato negli anni della gavetta, è stata una grande scuola per tutti gli attori-fantasisti-cantanti-ballerini che vi sono passati, e in Sordi è particolarmente evidente.

Lo scatto del momento giusto, il meccanismo della battuta nei tempi esatti, la conoscenza del pubblico da domare con un guizzo improvvisato o una trovata estemporanea, che costituiscono la vitalità della sua recitazione e sono peculiari di questo attore derivano dal duro tirocinio del palcoscenico (per il clima in cui tali spettacoli si svolgevano basta ricordare come li raffigura Fellini in Roma, e nella realtà il regista riminese nel 1938 apprezzò Sordi per la prima volta proprio in un locale romano come quello poi da lui raffigurato nel fìlm citato; e prima ancora in Luci del varietà, girato insieme a Lattuada).

Prima di arrivare alla grande rivista (gli spettacoli della Compagnia Zabum, quelli di Garinei e Giovannini, quelli al fianco di Wanda Osiris, la “divissima”) Sordi pestò i palcoscenici minori per una decina d’anni. Le sue esperienze trovano spesso riscontro nei suoi film. Già nel 1947 in piena attività rivistaiola (il cinema lo vede ancora in parti minori) interpreta Circo equestre Za-Bum, basato su sketches teatrali; e nel 1953 partecipa all’episodio lo cerco la Titina di Canzoni, canzoni, canzoni di Domenico Paolella, di stampo schiettamente rivistaiolo. All’ambiente sono dedicati, in tutto o in parte, Un americano a Roma (1954, di Steno), in cui Sordi è un ballerino di mezza tacca, e soprattutto Polvere di stelle (1973, con regia sua), dominato dalla figura di un comico e d’avanspettacoIo irrimediabilmente guitto.

Gloria e miseria di un ambiente sbrendoloso e affascinante. Celebrato talvolta attraverso l’esistenza di personaggi veri (rifatto in Gran varietà, 1954, di Domenico Paolella) e Petrolini (attraverso un suo personaggio, del Gastone, che dà il titolo a un film 1960, regia Mario Bonnard). “Chanteur, diseur, frequentatore bal-tabarin, uomo che emana fascino...” diceva Petrolini del Gastone.

Se avesse conosciuto Sordi è morto nel 1936, un anno prima che il Nostro debuttasse nel teatro di rivista – si sarebbe specchiato in un altro se stesso. E soprattutto avrebbe riconosciuto quell’ambiente in cui era cresciuto, il teatro di varietà officina di talenti e di artisti con il senso acuto delle arrese del pubblico e delle sue reazioni, controllare a dovere anche dopo, anche quando questi artisti si trovavano a recitare davanti al freddo obbiettivo di una macchina da presa. Insomma idealmente, davanti a loro, era sempre quel pubblico che li stimolava con una presenza partecipe e un’attenzione che non perdona.

Articolo pubblicato sulla Rivista del Cinematografo di aprile 2003.