“Ritengo che questo sia soprattutto il tempo di dire la verità, tutta la verità, con sincerità e coraggio. Non si può rifuggire, oggi, dall'affrontare onestamente le attuali condizioni del nostro paese. Questa grande nazione saprà resistere ancora, come ha già saputo sopportare, e saprà anche risorgere alla prosperità. Sono convinto se c’è qualcosa da temere è la paura stessa, il lasciarci vincere da quel terrore senza nome, irragionevole e ingiustificato, che paralizza i movimenti necessari per trasformare una ritirata in un'avanzata”.

Era il 4 marzo del 1933 quando Franklin Delano Roosevelt pronunciò queste parole durante il suo discorso inaugurale della sua Presidenza degli Stati Uniti durata – caso unico nella storia americana – per più di due mandati alla Casa Bianca, fino alla sua morte avvenuta alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Era l’inizio del cosiddetto New Deal, quello che avrebbe trasformato l’America, davvero, in una grande potenza e l’avrebbe salvata da sé stessa: dal rischio di un colpo di stato interno di matrice conservatrice e soprattutto dall’implosione di una grande democrazia sotto il peso dell’avidità di un gruppo di milionari che avevano, di fatto, iniziato a controllare lo Stato federale e a distruggere le fondamenta di un’idea, quella del “Sogno Americano” già minata dal crollo di Wall Street del 1929. “La paura stessa” è la cosa che dobbiamo temere di più secondo le parole di Roosevelt perché è quel sentimento a paralizzarci e a renderci schiavi del presente e in balia degli eventi.

Novanta anni dopo le parole di FDR sono ancora attuali, soprattutto dinanzi all’amara constatazione che i Social Media, in pochi anni, sono stati capaci, rapidamente, di demolire le nostre certezze, “invitandoci” – insistendo – ad avere paura. Questo, forse, non per tutti, ma certamente per le persone fragili che, a fini politici, si vedono subissati da un continuo incitamento a temere qualcosa o qualcuno.

Vero è che sui Social Media c’è tutto: dai video dei gatti che rubano le torte fino ai bambini feriti negli ospedali di Gaza, eppure è evidente a tutti noi che l’immagine del mondo che riceviamo tutti i giorni – a tutte le ore – è in direzione dell’accrescimento delle angosce e non, certo, dell’invito alla speranza e alla fiducia.

©Ahmed Abu Hameeda

Il mondo è in fiamme e la politica è – nel migliore dei casi – impreparata, se non addirittura, apparentemente, debole nei confronti di eventi apocalittici dinanzi ai quali – dall’immigrazione ai massacri, dal cambio radicale della società a minacciose presenze illiberali – si è tutti spaventati, soprattutto per la complessità di poter trovare delle soluzioni. Anni fa, un consigliere politico del Presidente Barack Obama spiegava agli autori delle serie televisive 24 e Homeland che la differenza tra la realtà e il dramma televisivo non sta tanto nella fattualità di certi racconti, ma nella diversità delle possibilità di scelta.

“A differenza di quanto accade in televisione”, sottolineava il politico americano, “dove l’eroe, in genere, ha una scelta giusta e una sbagliata, noi ci troviamo in genere due opzioni: una scelta sbagliata e una ancora più sbagliata”. Questioni che viste dall’altra parte dello schermo del nostro telefono sembrano sempre di facile soluzione, nella realtà, invece, si presentano come complicatissime se non – addirittura – impossibili da risolvere in maniera semplice e senza errori e traumi.

Da qui dunque una pluralità di sentimenti, aggravati nel loro triste declinarsi da una crescente mancanza di personalità davvero autorevoli, grazie ad un consumismo post ideologico “usa e getta” dove il punto di riferimento di oggi, sarà il meme di domani, dileggiato rapidamente dagli stessi sostenitori durante il tempo di un frinio di cicale. E da qui, dunque, deriva la farsa capace di scadere nel patetico e nell’orribile: i miti di oggi e di ieri cadono falciati uno dopo l’altro: c’è il role model dell’empowerment femminile che inciampa sui pandori e le uova di Pasqua compiendo azioni degne di una villain Disney come Crudelia Demon; c’è il grande attore blasonato che sprofonda orribilmente negli scandali sessuali e lo vediamo proferire parole rivolte a delle donne che fanno sembrare – in confronto – i testi talora sconci dei cinepanettoni e dei B-movie italiani delle pièces scritte da Majakowski o Marcel Proust.

C’è anche il calcio, con arbitri picchiati, squadre ritirate dal campo, campioni sul campo che fuori da esso sembrano usciti da Gomorra e che dire della religione, della spiritualità, della scienza, della ragione, dello studio svillaneggiati impunemente dai Lucignolo 2.0? Se questo articolo fosse un film ecco che un eroe, super o meno, apparirebbe all’orizzonte per salutarci e “salvarci tutti”. James Bond o l’Ethan Hunt di Mission: Impossible, dicendo una battuta, salverebbero il mondo un’altra volta ancora, mettendosi anche loro in salvo – rocambolescamente – magari con una bellissima donna al fianco.

Ma questo testo non è una sceneggiatura e il Deus ex machina, apparentemente, è in ferie permanenti, esodato da una cultura di massa che sembra adagiarsi al piacere dell’implosione e della regressione a colpi di threads, di post, di ex tweets… È così che scompare il mondo? Con un gemito e non con uno schianto? Verrebbe da domandarsi parafrasando la poesia The Hollow Men di Thomas Eliot del 1925? “Nascosti in piena vista” da migliaia di post di odio, sommersi da fake news, messi in un angolo dall’arroganza e dalla saccenteria altrui, ecco che, invece, quanto di bello e sublime, di giusto e perfino di puro c’è nell’umanità, emerge permettendo alla speranza di andare oltre e di riprendersi il ruolo di motore evolutivo di una società forse malata, ma certamente non moribonda e in grado, invece, di tirare fuori – più di quello che saremmo portati generalmente a pensare – il meglio di sé.

Perché la realtà è che solo la concretezza di chi fa del bene, spesso in silenzio se non addirittura ignorato o zittito, può cambiare le cose: gli influencer con le loro tribù di amici e parenti dalle vite perfette declinate in resort e case di lusso e ristoranti costosi, non cambierà il mondo per il meglio, ma farà il peggio per le persone più deboli, ammaliate dallo scintillio di vite dove oltre la forma, manca ogni sostanza a parte i soldi che danno, in compenso, quella patina di credibilità che deriva dall’affondare le loro radici nella creduloneria.

La pazza storia del mondo
La pazza storia del mondo

La pazza storia del mondo

(Webphoto)

Le immagini di sorrisi patinati, di ville al mare e case in montagna, di ristoranti costosi non basteranno a fermare la paura, ma serve qualcos’altro che può essere trovato altrove e che non necessariamente è rappresentato dai TedTalks e dai tanti studiosi, docenti e filosofi che popolano positivamente Tik Tok, Instagram e il rivale di X (che i boomer senza speranza come chi scrive chiamano ancora Twitter), ma anche dall’intelligenza e dalla modernità dei tanti comici, umoristi, scrittori e stand up comedian che con la loro ilarità, intelligenza e ironia, oltre a ridimensionare i problemi, ci portano a capire meglio il mondo in cui viviamo e le sue atrocità. Il rischio, però, è che i comici diventino loro stessi politici e alla fine, il rischio sul palco come sullo scranno, è quello di far smettere di ridere: come nel caso di Jimmy Morales, che con il motto “non un ladro, non un corrotto” è diventato Presidente del Guatemala per un mandato, senza poi essere rieletto non avendo saputo mantenere fede al suo stesso slogan.

Certo, non tutti seguono la medesima traiettoria verso il fondo, ma – certamente – è evidente che fare ridere sia importante a patto che si possa mantenere la giusta distanza dall’oggetto e dal merito delle proprie riflessioni. Una risata ci salverà? Forse sì, forse no anche se è giusto continuare a pensarlo e sperarlo: l’importante è che – a dispetto di quanto ci viene mostrato in continuazione – non sia “l’ultima”. In fondo, poi, anche i timori potrebbero portare, paradossalmente, a qualcosa di buono se – come osserva il grande comico e regista Mel Brooks, “tutto ciò che facciamo in vita si basa sulla paura, specialmente quando si tratta dell'amore”.