PHOTO
Un’immagine di 4 mosche di velluto grigio
Quando Dario Argento gira il suo terzo lungometraggio, 4 mosche di velluto grigio, l’Italia attraversa l’intenso periodo dell’“autunno caldo” post-operaiato, ancora ferita dal trauma della strage di Piazza Fontana del 1969, preludio degli anni di piombo. Nel film, la paranoia sociale prende corpo nei quartieri modernisti anonimi di Roma, nei telefoni intercettati e nei fotografi invisibili, divenendo sintomi palpabili di un’ansia diffusa. Roberto Tobias, batterista coinvolto in un inquietante gioco persecutorio, incarna questa precarietà sociale ed esistenziale, restituendo sullo schermo il volto smarrito di una società occidentale in crisi d’identità.
Il ritorno sul grande schermo
Dopo lunghi anni di oblio, il film torna nelle sale italiane restaurato in 4K dalla Fondazione Cineteca di Bologna sotto la supervisione di Luciano Tovoli, con la collaborazione di CG Entertainment, Cat People e Surf Film. Dal 14 luglio 2025, nell’ambito del progetto "Cinema Revolution", 4 mosche di velluto grigio recupera finalmente la sua visibilità perduta e si riafferma come opera essenziale del cinema argentiano.


Un’immagine di 4 mosche di velluto grigio
Questa coproduzione italo-francese (Seda Spettacoli e Universal Productions France) chiude con inquieta eleganza la celebre “Trilogia degli animali”, iniziata da Argento con L’uccello dalle piume di cristallo e proseguita con Il gatto a nove code. I suoi 101 minuti scorrono frenetici grazie alle interpretazioni di Michael Brandon e Mimsy Farmer, accompagnati dalla presenza magnetica di Jean-Pierre Marielle, Bud Spencer e Francine Racette. Françoise Bonnot conferisce al montaggio un ritmo incalzante, mentre la fotografia di Franco Di Giacomo disegna atmosfere tese e inquietanti. Fondamentale è la colonna sonora di Ennio Morricone, originale e sperimentale, caratterizzata da vocalità disturbanti di Edda Dell’Orso e pulsazioni rock-progressive che accentuano il clima di angoscia.
Dal punto di vista tecnico, Argento compie un salto decisivo introducendo rivoluzioni formali che ridefiniscono il thriller cinematografico. Straordinario il finale girato con una cinepresa da 3.000 fotogrammi al secondo, che dilata l’attimo della violenza trasformandolo in una contemplazione estatica e allucinata, prefigurando Opera (1987). Altrettanto audace la retinografia criminale, pseudo-scienza che ipotizza l’ultima immagine vista dalla vittima impressa sulla retina, riflettendo sulla natura ambigua dello sguardo e della percezione. Inoltre, la macchina da presa con le sue carrellate impossibili e soggettive invasive anticipa i temi moderni della sorveglianza e del voyeurismo contemporaneo.
Innovazione narrativa e nuove letture critiche
Argento sovverte radicalmente la struttura classica del giallo: il protagonista non è un detective, ma una vittima impotente, intrappolata in un labirinto paranoico. L’indagine tradizionale cede il passo a un’atmosfera surreale, in cui humor nero e bruschi cambi di registro destabilizzano continuamente lo spettatore. È evidente qui l’anticipazione della svolta metafisica che Argento approfondirà in Profondo rosso (1975).


Un’immagine di 4 mosche di velluto grigio
Il film è abitato da figure eccentriche e controverse, tra cui spicca l’investigatore privato Gianni Arrosio, apertamente omosessuale, che sfida apertamente gli stereotipi culturali dominanti dell’epoca. La complessità di genere del killer, educato come maschio durante l’infanzia, amplifica ulteriormente questa critica sociale, permettendo letture queer che rendono la pellicola straordinariamente attuale.
Morricone, con la sua colonna sonora innovativa e perturbante, riflette l'inquietudine interiore del regista. Questa tensione creativa porta a una significativa interruzione nella collaborazione tra i due, che riprenderà solo molti anni dopo con La sindrome di Stendhal (1996).


Un’immagine di 4 mosche di velluto grigio
La critica recente ha rivalutato 4 mosche di velluto grigio, evidenziandone le profetiche intuizioni sulla sorveglianza digitale, la fluidità dell’identità e il nesso tra violenza politica e domestica. Queste nuove letture hanno permesso al film di emergere dall’iniziale giudizio ambiguo del New York Times (“stilisticamente superbo, ma narrativamente bizzarro”, scrisse la "signora in Grigio"), restituendogli un ruolo centrale nel dibattito contemporaneo sulla crisi identitaria e la manipolazione mediatica.
Il restauro come gesto critico e culturale
Oggi, il restauro in 4K offre una nuova occasione per riscoprire questo capolavoro argentiano. Non si tratta solo di un intervento filologico sulla pellicola: è un atto critico e culturale che restituisce al film la sua densità visiva originaria. La grana della pellicola, i contrasti di luce, i viraggi cromatici e la stratificazione sonora riemergono con una nitidezza che rende l’esperienza cinematografica più vicina a quella pensata dal regista. L’intervento della Fondazione Cineteca di Bologna, in collaborazione con Luciano Tovoli e i partner di distribuzione, è anche un gesto di fiducia verso un pubblico che oggi può interrogarsi, grazie a questi materiali ripristinati, sulla forza simbolica dell’immagine e sulle sue zone d’ombra.


Un’immagine di 4 mosche di velluto grigio
Il film permette così al pubblico contemporaneo di confrontarsi con un’opera che, attraverso le sue inquietudini profonde e mai risolte, continua a riflettere con sorprendente lucidità le tensioni latenti del nostro presente.