Una caravella che solca il lago – stupore! – con le vele dipinte di colori leggeri e mille lune intorno. Questi archi di luna, racconta Velasco Vitali artista autore dell’opera, rappresentano la poesia e l’immaginazione e conducono la nave lontano dalla riva verso la scoperta, verso l’incertezza, verso l’ignoto.

Con questa immagine suggestiva e sognante, per la quale ringraziamo Velasco, interpretiamo le parole consegnate dal Santo Padre al mondo del cinema in udienza, parole che tracciano il tema della quarta edizione del Lecco Film Fest che si svolgerà dal 5 al 9 luglio.

Come può l’arte – cinematografica per elezione del nostro campo d’azione, ma non in esclusiva – “ridestare lo stupore” in un mondo in cui ci contorniamo di oggetti ma sempre più svuotiamo le relazioni di senso, di sorpresa e fiato sospeso davanti al bello e buono?

La domanda rimbalzerà fra gli ospiti coinvolti nel programma di oltre venti fra dibattiti, interviste, proiezioni, e tornerà anche nel dialogo che nasce fra artisti e pubblico e fra gli stessi spettatori che fianco a fianco partecipano a una proiezione, seguono un dibattito e poi andando via ancora commentano, riflettono, con quella cura al contenuto, al confronto che è la cifra del festival.

Guardando alle donne e agli uomini grazie ai quali si realizza il festival – ospiti, professionisti, amici – possiamo immaginare la composizione dell’equipaggio della nostra fantastica caravella.

Ci sono anzitutto gli ospiti del festival, donne e uomini che ogni giorno il cinema lo fanno e lo vivono, capitani di breve o lungo corso come Jerzy Stuhr e Marco Bellocchio, Carlo Verdone, Francesco bruni e Giulio Scarpati, Fausto Russo Alesi: condurranno il viaggio attraverso film che sono storia o faranno la storia, col dibattito che hanno animato fin dalla prima visione.

Se la nostra caravella fosse un veliero del ‘600, la sua particolarità salterebbe agli occhi: piena di donne che lavorano, parlano, ascoltano e si fanno ascoltare. Donne che hanno un posto che hanno scelto in questo microcosmo e in tutti i mondi verso cui vogliamo andare: Piera Detassis aprirà il festival e darà la linea, e poi Elena Lietti, Emilia Mazzacurati, Paola Minaccioni, Fotinì Peluso. E poi ancora viaggiatori imbarcati da altri mondi con i loro suoni e le loro parole: Dario Faini Dardust, Stefano Nazzi, Francesca Milano, Massimo Bernardini.

Il viaggio non sarebbe mai cominciato senza gli amici che hanno donato le vele, che hanno rifornito la cambusa, che hanno permesso di raccontare l’impresa da una sponda all’altra. Non è vanto di elenco di marchi e nomi a far andare la chiglia, ma la consapevolezza che c’è tutta una comunità intorno a sostenere la barca leggera e consapevole, tutto il viaggio anzi nasce proprio da un sogno sognato dalla stessa comunità lecchese, dai suoi esponenti dell’industria e dalle istituzioni che supportano e affiancano la Fondazione Ente dello Spettacolo nell’organizzazione.

Su questa caravella tutti aiutano, tutti si danno da fare, ad ammainare e spiegare le vele c’è una folta leva di volontari di ogni età, chi guida, chi sta in cucina, chi controlla le provviste, chi verifica che funzionino gli allestimenti.

Ma soprattutto ci sono tantissimi giovani mozzi di bordo, un equipaggio rumoroso e colorato a solcare il lago, impegnati sottocoperta o a recuperare cime, con l’impazienza del giovane marinaio, che tutto vuole fare e scoprire e alla sera si acquieta ad ascoltare le storie dei grandi, di quelli che di mari ne hanno visti tanti e li raccontano nei propri film.

Sono loro, impacciati e sorridenti, il carico più prezioso che questo veliero porta con sé, il loro ardore e i loro sogni, la responsabilità di dare loro mari e terre da scoprire e strumenti per attraversarli, per guardare al mondo e viverlo da protagonisti. Come in un film, ma di più.

E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vano desiderio
è una barca che anela al mare eppure lo teme.

(Edgar Lee Masters, “George Gray”, Antologia di Spoon River)