Le misere esistenze di Ma Youtie, povero contadino ancora celibe, e Cao Guiying, donna disabile, protagonisti di Return to Dust di Li Ruijun (in concorso alla scorsa Berlinale, ora ospitato alla XXVI edizione del Tertio Millennio Film Fest) fluiscono nella medesima condizione di emarginazione e sconforto nella Cina agreste dei primi anni dieci del Duemila. Indigente e con solo un asino come ricchezza, costretto a vendere il sangue per pochi soldi lui, vittima di abusi, traumi fisici ed affetta da un’incontinenza cornica lei; entrambi vivono il fardello del percepirsi “di troppo”, complicazioni da estirpare per le loro rispettive famiglie.

Ad unire questi destini disgraziati, un matrimonio combinato, evidentemente unica soluzione possibile per disfarsene con crudeltà e senza mezzi termini. Unione opportunista quanto necessaria agli occhi disinteressati dei familiari, completamente indifferenti alla probabilità che far congiungere due vite così bisognose avrebbe potuto decretarne il definitivo peggioramento.

Invece nel lento progredire del quotidiano, scandito dallo sfiancante lavoro agricolo, la totale estraneità e l’imbarazzo (chiaramente evidenziato dalle espressioni immortalate dalla prima foto matrimoniale) si trasformano in profonda complicità, rispetto reciproco e prendersi cura l’una dell’altro. Insieme imparano a conoscersi e a condividere le proprie sensazioni, i ricordi dolorosi del passato e il vivere comune, riuscendo a costruire dalle fondamenta, mattone dopo mattone, un rapporto puro ed autenticamente spontaneo fatto di piccoli gesti.

Un sentimento che lentamente germoglia e rende finalmente possibile il migliorarsi e trovare la legittima destinazione, perché “come vale per il terreno, ognuno ha il suo destino”. Deboli separati, teneramente combattivi insieme, la coppia è in grado di non affliggersi di fronte alla spietatezza delle malelingue sempre intente a giudicare senza sapere e alle continue ingiustizie presentatesi lungo il cammino di crescita introspettiva e coniugale. Accettano tutta la sopraffazione con rassegnazione, non abbattendosi, incarnando perfettamente i principi del Confucianesimo di obbedienza, dedizione e rettitudine, trovando il coraggio nel vicendevole appagamento.

Il film si modella come una storia d’amore atemporale, quasi atipica nella composizione, tra individui legati da un intimo dolore, ma anche ossequioso omaggio alla natura rappresentata nella viscerale connessione uomo-natura. Nel pieno del realismo contadino, ereditato dai registi della quinta generazione del cinema cinese, Li Ruijun coniuga il desiderio di affrontare questioni sociali con la ricerca di autenticità, collocandola nell’ambientazione rurale del Gansu, a lui particolarmente cara, e scarnificando l'attorialità degli interpreti. Tra rigogliose distese, aratri trascinati da animali e baracche costruite per poi essere distrutte, lo sguardo è invitato a riflettere sull'esistenza e sullo status di decadente povertà in cui riversa una piccola periferia appartenente all’imponente potenza mondiale dell'Oriente, attraverso l’intensità di immagini silenziose e simboliche metafore.

Ritratto delicato e commovente, non manchevole di alcune ripetizioni non necessarie, Return to Dust interpreta la concezione dell’eterno ritorno dell’uguale: nonostante tutto, si torna alla polvere per poi ricominciare di nuovo.