This Closeness si chiude con il fermo immagine della protagonista, immortalata con la bocca mezza aperta, colta proprio sul punto di dire al compagno qualcosa di definitivo (c’è qualcosa di più definitivo del provvisorio?). La frase resta sospesa ma, arrivati alla fine del film, possiamo intuirla; comunque andrà, l’addio non è una possibilità. I pochi secondi che chiudono This Closeness sono un manifesto. Di una certa tendenza del cinema indie americano ma anche di una generazione, quella dei millennials, che ha trovato nella trentenne Kit Zauhar una voce capace di riflettere il personale nel collettivo e viceversa.

Presentato nel 2023 alla kermesse texana South by Southwest, uscito pochi mesi dopo nelle sale americane e distribuito a livello globale (Italia compresa) su Mubi, This Closeness è il secondo lungometraggio di questa giovane filmmaker nata a Filadelfia da padre americano e madre cinese (emigrata negli Stati Uniti per studiare medicina), la cui precoce vocazione alla regia si manifesta già al liceo, quando gira l’amatoriale It Was Fall.

A poco più di vent’anni, mentre frequenta la New York University dirige il primo cortometraggio ufficiale, Helicopter (2016), seguito due anni dopo da Terrestrials, incentrato su un dispositivo che consente alle persone di incontrarsi per consumare del sesso in forma anonima e su un piano “metafisico”. Una storia sintonizzata sulle turbolenze emotive del nostro tempo liquido, premiata per la migliore sceneggiatura al Fantasia International Film Festival di Montréal, specializzato in corti fantasy e sci-fi.

Mettersi in gioco: Actual People

Nel 2021, a ventisei anni, l’approdo al lungometraggio low budget, con esplicite influenze autobiografiche (l’autofiction è la forma del contemporaneo): Actual People racconta l’ultima settimana di college di una ventenne che non sa bene che strada prendere (la interpreta la stessa regista: “Un’autrice che si impegna per il proprio progetto, emotivamente o fisicamente o entrambi, dà l'impressione di una scommessa più rischiosa, sta mettendo in gioco se stessa e la sua dignità” ha spiegato in un articolo su Notebook).

Actual People
Actual People

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È stata appena mollata dal fidanzato, galleggia tra i bicchieri e i calici di troppe feste in casa, si concede avventure di una notte. C’è una litigata per strada, in cui tutti pensano che lui sia stato violento con lei ma in realtà è lei ad aggredirlo, che è davvero la promessa di una commedia di costume che aggiorna il magistero di Elaine May e Claudia Weill. E ci sono delle chiacchiere che planano sulle cose della vita, con una leggerezza che sfiora la superficialità e sonda le profondità senza precipitarvi, che sembrano immaginare una via americana a Éric Rohmer.

Zauhar testimonia la radiografia di un cedimento strutturale, un mental breakdown, uno spaesamento generazionale: il futuro sembra essere già passato, i genitori sono preoccupati ma pressano, i diversivi devono essere allentati. Che la soluzione stia nell’incontro con un ragazzo? Ha raccontato in un lungo pezzo su Notebook: “Sono sempre stata attratta dai film che permettono al potere dell’umiliazione di sopraffare un personaggio. Il mio modo di fare cinema, sia nell’ambizione che nella pratica, è stato plasmato dal mio desiderio di esplorare questo tabù inespresso”.

L’umorismo è una chiave, l’onestà si fa scelta di campo, così come l’affiliazione a una costellazione di riferimenti (alcuni li abbiamo citati, ma anche Woody Allen e Nanni Moretti, Lena Dunham e Miranda July, Noah Baumbach e Greta Gerwig, Cheryl Dunye e Mike Nichols), e tutto ci dice che la forma è sostanza: al crocevia tra millennial e GenZ (che, tecnicamente, inizia più o meno nell’anno di nascita della regista, tra il 1995 e il ’97): una rivelazione, vulnerabile e dolente, che prende di petto grandi temi del presente (l’essere donna oggi, il rapporto col maschile, il posizionamento sociale) senza restarvi prigioniera ma, anzi, plasmando un film che diventa cartina di tornasole.

dell’abitare un tempo: This Closeness

La conferma, appunto, arriva con l’opera seconda, This Closeness (2023), che vede ancora una volta Zauhar impegnata come autrice e attrice nel ruolo di una content creator. Ad affiancarla c’è Zane Pais, che interpreta il fidanzato giornalista con cui affitta una stanza a Filadelfia in occasione di una rimpatriata tra ex compagni di liceo. Nell’appartamento c’è anche il proprietario (Ian Edlund), così impacciato e goffo da cercare nuove conoscenze tramite Airbnb: il triangolo incombe, le interferenze pure e l’interrazzialità della protagonista si scopre argomento erotico.

This Closeness
This Closeness

This Closeness

Zauhar unisce le inquadrature tipiche del cinema indie con la scomposizione dei quadri per restituire il flusso dei post sui social, facendo convergere le nevrosi del mumblecore con il narcisismo esasperato dell’autonarrazione tipica delle piattaforme. Non è un ammiccamento alla generazione a cui – e di cui – parla, abituata a condividere frame dei film a scopo “autobiografico” (i film di Zauhar si prestano all’esercizio, pieni come sono di primi piani sotto i quali aggiungere le citazioni), ma una pratica che dà ordine alla disgregazione emotiva e trova una forma all’imbarazzo dello stare al mondo.

Il balzo in avanti di Zauhar sta anche nella scelta di concentrarsi su tre personaggi, osservando i disagi e i problemi dei maschi attraverso uno sguardo femminile, rilevandone disadattamenti mai del tutto affrontati e drammi sommersi dagli schemi di una virilità anacronistica. E individua nel sesso, ma anche in quello che ci gira attorno, lo spazio ideale per riflettere su fraintendimenti (il contatto implica sempre una richiesta di intimità?) e pregiudizi (si può avere un rapporto che prescinde il coinvolgimento erotico?), degenerazioni (come vive un incel?) e illusioni (la disconnessione è una salvezza o una condanna?).

Il fatto che (quasi) tutto avvenga in un interno, un luogo più simbolico che claustrofobico, è davvero il segno di un tempo e di come la generazione dell’autrice lo abita. Un film-manifesto, come quel fermo immagine che, nel finale, non dice quel che forse abbiamo già capito.