Non molti l’hanno ricordato o rimarcato, ma prima dell'avvento di Barbie di Greta Gerwig il record del più grande incasso per un film diretto da una donna apparteneva a Hi, Mom (2021), esordio nella regia dell'attrice comica cinese Jia Ling. Uscito in occasione del Capodanno lunare del 2021, il film fu un trionfo inatteso, che divertì e commosse le platee cinesi, sbaragliando la concorrenza dei film ad alto budget pensati per il periodo più lucrativo al botteghino cinese.

Basata sui valori dell'amore e devozione filiali, la commedia drammatica di Jia Ling è stata attenzionata dalla Sony che ne ha acquisito i diritti per un remake in lingua inglese. La stessa Sony ha recentemente annunciato di aver acquistato i diritti per la distribuzione internazionale del secondo film di Jia Ling, YOLO, primo incasso al botteghino cinese del Capodanno lunare 2024, e a sua volta remake del film indipendente giapponese 100 Yen Love (2014) di Masaharu Take, incentrato sul riscatto di un’emarginata attraverso il pugilato. Il travolgente successo di Jia Ling è però un'eccezione più unica che rara nel contesto delle cinematografie del continente asiatico.

L'assenza di politiche mirate allo sviluppo e al sostegno di opere cinematografiche da parte di istituzioni preposte in gran parte dei paesi del continente, infatti, impedisce anche un'attivazione di incentivi che favoriscano i talenti femminili e il loro coinvolgimento nella produzione cinematografica. Non stupisce quindi che statisticamente, dalla Cina all'India, dal Giappone all'Indonesia, il numero di opere cinematografiche dirette da donne sia sensibilmente più basso che in Europa, nelle Americhe o in Oceania.

Sin qui, le voci femminili delle cinematografie dell'Asia orientale, sudorientale e del subcontinente indiano sono testimonianze di singolari individualità creative e talora addirittura di resilienza in contesti ostici. La stessa Naomi Kawase, la regista asiatica che vanta più partecipazioni al Festival di Cannes (5 volte in Concorso), ha raggiunto visibilità commerciale solo con Le ricette della Signora Toku (2015). La bengalese Rubaiyat Hossain è riuscita a realizzare il coraggioso Made in Bangladesh (2019), che denuncia le condizioni di lavoro delle operaie tessili di Dacca, grazie alla coproduzione con l'Europa. E le coproduzioni europee hanno facilitato spesso il percorso delle voci femminili asiatiche più significative e anticonvenzionali degli ultimi anni.

Before, Now & Then
Before, Now & Then

Before, Now & Then

(Webphoto)

Senza una coproduzione francese difficilmente l'indiana Payal Kapadia avrebbe potuto portare a compimento il suo personalissimo documentario politico A Night of Knowing Nothing, premiato a Cannes 2021 con l'Oeil d'or. Così come la thailandese Anocha Suwichakornpong, senza contributi internazionali, non avrebbe potuto evocare, seppur obliquamente, le stragi contro l'attivismo studentesco degli anni Settanta in By the Time It Gets Dark (2016).

E così anche l'ascesa delle indonesiane Mouly Surya e Kamila Andini è stata aiutata dalla coproduzione: la prima è stata la prima regista indonesiana selezionata al Sundance con il delicato dramma adolescenziale What They Don't Talk About When They Talk About Love (2013) e alla Quinzaine di Cannes con il tarantiniano Marlina, omicida in quattro atti (2017), la seconda ha vinto a Toronto con il coraggioso Yuni (2021) e ha partecipato al Concorso di Berlino con Before, Now & Then (2022).

Ultimissime in questa serie di registe asiatiche sostenute da coproduzioni e festival occidentali sono le mongole Zoljargal Purevdash di If Only I Could Hibernate e Lkhagvadulam Purev-Ochir di City of Wind, selezionate l'anno scorso rispettivamente a Cannes e Venezia e Amanda Nell Eu il cui Tiger Stripes è stato il primo film dalla Malaysia a vincere il Grand Prix della Semaine de la critique di Cannes.