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Una Lady Macbeth del Distretto di Mcensk, prove dello spettacolo
Cosa hanno in comune la Prima della Scala e l’inizio della carriera di Florence Pugh? La novella di Nikolaj Leskov Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, alla base sia dell’omonima opera di Dmitrij Šostakovič (che, il prossimo 7 dicembre, inaugurerà la Stagione scaligera 2025/2026), sia di Lady Macbeth (2016), esordio cinematografico del regista inglese William Oldroyd, che lo considera “un racconto nel segno della tradizione tragica giacobiana”. La Lady del titolo è una ragazza di campagna russa, Katerina Izmajlova, nuova moglie di un ricco mercante, afflitta da un suocero tirannico e da “una noia incommensurabile […] la noia tipica di una casa di mercanti, dove perfino impiccarsi è più allegro”.
A infiammarle l’animo e i sensi provvede Sergej, giovane servo preceduto dalla fama di sciupafemmine. Non volendo rinunciare né allo status sociale acquisito grazie al matrimonio, né all’amante, Katerina decide di eliminare chiunque la ostacoli, uomo, donna o bambino che sia. Per molti aspetti, è un’antenata di quegli odierni personaggi femminili che, partendo da uno stato depressivo acuito da mancanze, abusi o costrizioni, si ribellano contro i vincoli familiari e sociali che giudicano oppressivi, abbracciando il proprio lato irrazionale sino a cedere a una sorta di “follia” distruttiva. Non a caso, a far scoprire Leskov a Oldroyd è stata la drammaturga e sceneggiatrice britannica Alice Birch, futura penna della miniserie Normal People (2020) e dell’ultima pellicola di Lynne Ramsay Die, My Love (2025).


Florence Pugh in Lady Macbeth
Se la figura di Katerina risulta difficile da comprendere oggi, immaginate l’impatto che la novella ebbe nel 1865 sui lettori di Epoca (rivista dei fratelli Fëdor e Michail Dostoevskij), complice un titolo che, da un lato, alludeva alla temibile sposa del Macbeth shakespeariano e, dall’altro, al racconto di Ivan Turgenev L’Amleto del distretto di Šigry (1852). Per quanto Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk venga considerata la risposta russa a Madame Bovary (prima di Anna Karenina), Leskov non stabiliva alcun rapporto empatico con i personaggi, ricostruendone azioni e comportamenti, come se si trattasse di true crime.
Al di là della stima per l’autore, ad avvicinare Šostakovič al soggetto furono soprattutto le immagini: quelle, statiche, disegnate da Boris Kustodiev (illustratore delle opere di Nikolaj Gogol’ e Lev Tolstoj) e quelle riprese in movimento da Česlav Sabinskij nel film Katerina Izmailova (1927). Il compositore aveva già dimostrato un vivo interesse per le potenzialità trasgressive offerte dal genere grottesco, ma la sua rilettura (artistica e strumentale) non si limitò al sarcasmo dissacrante, intriso di ferocia e sangue.


Insieme al librettista Aleksandr Prejs, modificò la figura di Katerina, non più fredda calcolatrice e infanticida, bensì “essere intelligente ed appassionato che soffoca nel grigiore della vita e dell’ambiente volgare in cui è costretta.” L’infatuazione per Sergej è totalizzante ma, date le convenzioni dell’epoca, risulta impossibile viverla senza sprofondare nel degrado e nell’autodistruzione. “Direi che la si potrebbe definire un’opera tragico-satirica” scrisse nel 1932. “Anche se Katerina è un’omicida – assassina infatti il marito e il suocero – ho per lei simpatia. Mi sono preoccupato di dare a tutti gli avvenimenti che la circondano un oscuro carattere satirico. Il termine ‘satirico’ non è certo da intendersi nel suo significato di ‘ridicolo, canzonatorio’. Al contrario: con Lady Macbeth mi sono preoccupato di creare un’opera che sia una satira larvata e, gettando la maschera, obblighi a odiare lo spaventoso arbitrio e i soprusi della classe dei commercianti”.
Non contento di camminare sul filo del rasoio, Šostakovič osò l’inosabile: trasformare l’atto sessuale in musica con la vorticosa, incalzante e violenta esplosione sonora (da alcuni definita “pornofonia”) che ritma letteralmente il primo, furioso amplesso fra Katerina e Sergej. Con il senno di poi, Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk fu per la lirica quello che Je t’aime... moi non plus di Serge Gainsbourg fu per la musica pop e Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci per il cinema. Al debutto (avvenuto a Leningrado il 22 Gennaio 1934) venne accolta con favore da critica e pubblico, ma il sollievo durò solo un paio d’anni


Una Lady Macbeth del Distretto di Mcensk, prove dello spettacolo
(Ph. Brescia - Amisano © Teatro alla Scala)Il 28 gennaio 1936 la Pravda pubblicò l’articolo Caos invece di musica, che bollava l’opera come antisovietica e avversa al realismo socialista, definendola “rozza, primitiva e volgare”, una “cacofonia” di “musica nervosa, convulsa e spasmodica”, dove l’espressività viene “sostituita da un ritmo diabolico” che “solletica il gusto perverso dei borghesi”. Sebbene anonima (si ipotizzò persino che l’avesse scritta Stalin, che se ne era andato, indignato, durante la recita al Bol’šoj di Mosca), la stroncatura fece cadere in disgrazia il compositore (che visse a lungo nel terrore di essere arrestato) e bandire l’opera dai teatri.
Nel 1962 Andrzej Wajda ripropose Leskov sul grande schermo con Lady Macbeth siberiana e, nel gennaio 1963, a Šostakovič fu concesso di rimettere in scena il proprio lavoro (opportunamente revisionato) con un nuovo titolo: Katerina Izmajlova (da cui l’omonimo film opera del 1967). Occorse aspettare una ventina d’anni perché, insieme al muro di Berlino, cadessero le inibizioni e la Russia producesse sia un adattamento in costume della novella (1989), sia uno d’ambientazione contemporanea (Katya Ismailova, 1994).


Lady Macbeth siberiana
L’opera venne liberata da ogni scampolo di pudicizia nel 1992, quando il regista ceco Petr Weigl decise di realizzare una versione televisiva di Lady Macbeth in cui far vedere tutto ciò che sul palco del teatro non si poteva mostrare. Scelse quindi attori fisicamente consoni ai ruoli (a partire dai protagonisti Markéta Hrubesová e Michal Dlouhý, giovani, belli e molto disinibiti), li fece recitare mentre fingevano di cantare e sovrappose alle scene l’audio di una delle migliori registrazioni dell’opera, ovvero quella incisa da Galina Višnevskaja e Nicolai Gedda, con la direzione Mstislav Rostropovič. Per sua fortuna, il film è praticamente ignoto a quella maggioranza di melomani italiani che griderebbe al vilipendio.
Nel 2016, a cambiare le carte in tavola, è arrivata Lady Macbeth di Oldroyd, dove la protagonista (Florence Pugh, all’epoca non ancora ventenne) si chiama Katherine, vive nell’Inghilterra rurale del 1865 e (complice un abito blu che sembra dipinto da Kustodiev) recupera la cinica aura letteraria e le colpe che Šostakovič le aveva tolto. Rinchiusa in un ambiente ostile e raggelante (gli interni della dimora padronale derivano dai quadri di Vilhelm Hammershøi, già ispiratore di Carl Theodor Dreyer e Michael Haneke), Katherine rifiuta il ruolo di vittima passiva e decide di prendere in mano il proprio destino, costi quel che costi. Non è più il bracciante (Cosmo Jarvis) a sedurla e manipolarla, ma lei a usarlo come svago e complice, salvo liberarsene all’occorrenza.


Florence Pugh in Lady Macbeth
(Webphoto)Se, in passato, lo scandalo derivava dalla condotta peccaminosa e impenitente, a sconcertare gli spettatori attuali è semmai il fatto che Katherine reagisca all’oppressione diventando più spietata di chi la dominava e che l’unico castigo per i suoi crimini sia ottenere la tanto agognata libertà.
Durante la promozione di Lady Macbeth, Oldroyd ha spesso sottolineato quanto il casting di Pugh sia stato cruciale per il progetto. “Dovevamo trovare qualcuno che avesse non solo la forza di compiere azioni spregevoli, ma anche la vulnerabilità e l’ottimismo della sposa vergine che incontriamo a inizio film” ha spiegato il regista. “Florence era indipendente, carismatica, aveva un istinto eccellente e, soprattutto, difendeva con fermezza la decisione di Katherine, senza mai giudicarla”. D’altro canto, la sospensione di giudizi morali e l’assenza di appigli consolatori rientrano nella filosofia di Šostakovič e (in prosa, musica o fotogrammi) Lady Macbeth deve continuare a destabilizzare per poter esistere senza tradire se stessa.
