“Questa è una storia che appartiene agli USA, ma riguarda tutta l’Europa. Non raccontiamo la nostra immigrazione perché ha avuto un percorso differente, ma di recente si sono spesi miliardi per salvare cinque persone in un sottomarino, mentre per chi si ammassa dentro una barchetta fatiscente spesso non si spende neanche un euro. Nessuno deve sentirsi più discriminato. In nessun posto”.

La coppia di neoregisti Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez arriva in Italia per presentare Upon Entry- L’arrivo che verrà proiettato in anteprima oggi 9 novembre alle 21:30 al Cinema Barberini di Roma nell’ambito del Festival del cinema spagnolo e latinoamericano, prima dell’uscita in sala prevista il 1° febbraio con EXIT media.

Il film è “un social thriller politico e sociale” che “prende spunto da esperienze che abbiamo vissuto, in quanto entrambi venezuelani, anche se non direttamente. – spiega Rojas – La fase di documentazione non è stata facile perché ha riguardato persone molto vicine a noi. Volevamo capire cosa significa avere un passaporto che definisce uno spazio di vita in un posto chiuso dove c’è un’autorità che ti impone delle regole”.

Ad essere chiusi in uno spazio sono il venezuelano Diego (Alberto Ammann) e la spagnola Elena (Bruna Cusì): una coppia che, arrivata in America con la richiesta di cittadinanza, viene sequestrata in aeroporto dalle autorità, in un crescendo di interrogatori torchianti, accuse e violenze psicologiche.

"Ci ha causato inquietudine scrivere il film – spiga Rojas, co-autore della sceneggiatura con Vásquez – perché ha significato ricordare momenti e dettagli ed esperienze che ci interpellavano. In più c’era la sfida di far rimanere la storia in uno spazio chiuso, e da lì far conoscere al pubblico i personaggi attraverso l’interrogatorio che subiscono.”

Unità di spazio ristretto che simboleggia, va da sé, il potere "che impone agli individui di rimanere lì, fermi in questo che potrebbe essere un non-luogo. – racconta Vásquez – Noi, però, ci siamo contenuti, quello che succede nella realtà spesso è più grave di quello che si vede nel film”.

Dramma processuale chiuso in una stanza, un’autorità che giudica delle apparenze e la mente corre subito a "Sidney Lumet di La parola ai giurati: – spiegano i registi – nell’idea di un potere che si impone attraverso la parola e interrogatori schiaccianti fatti per mettere alle corde i protagonisti. E soprattutto per l’ambientazione in uno spazio ristretto”.

Upon Entry - L'arrivo
Upon Entry - L'arrivo

Upon Entry - L'arrivo

Qui, però, il bersaglio della critica è l’inumanità recente e passata nella gestione migratoria americana: “Gli Stati Uniti sono sempre stati molto restrittivi a livello di immigrazione, non solo con Trump. – spiega Juan Sebastián Vásquez – Condannando lui c’è il rischio che si ripulisca l’immagine di altri come Biden o Obama che hanno imposto regole molto dure e restrittive ai flussi migratori”.

Bruna Cusì nel film incarna Elena, ballerina europea che per trasferirsi con il compagno venezuelano in America si scontra con la follia della gestione migratoria: "Come attrice per me è stato un regalo interpretativo, – spiega l’interprete – perché mi sono messa alla prova su una regia che era fatta di piani anche molto stretti, che valorizzava a piccoli gesti, agli sguardi, all’espressione del corpo”.

Ne è venuta fuori una recitazione in levare: “il mio personaggio spesso non parla, ma reagisce a ciò che gli dicono. – spiega Cusì – Una dinamica che ha a che fare con la vita e con il mio mestiere. Chi fa l'attrice deve reagire in un certo modo di fronte a un copione”.

Una donna chiamata a mettere in crisi tutte le sue certezze, a veder crollare i suoi “due pilastri: la danza e la relazione. Ho preso per mesi lezioni di danza per interiorizzare il suo vissuto. Era un personaggio che partiva da una visione della vita – da cittadina europea che si crede al sicuro e privilegiata - e poi invece va incontro all’umiliazione. Il suo è un percorso verso la vulnerabilità”.

Al di là di ciò, Upon Entry per l’attrice è anche "una critica al maschilismo, evidente quando entra in scena l’agente Vasquez (stesso cognome di uno dei due registi, ndr) per sapere perché hanno usato la sua carriera per ottenere la cittadinanza statunitense”.