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Rino Gaetano sempre più blu
C’è altro da dire su Rino Gaetano? Sì, secondo Giorgio Verdelli. “Erano almeno dieci anni che cercavo di fare un film di lui, avendolo anche conosciuto personalmente. Secondo me non è mai stato raccontato al meglio, ma purtroppo c’è poco materiale”. Dopo i ritratti dedicati a Pino Daniele, Lucio Battisti, Paolo Conte, Mia Martini, Ezio Bosso, Enzo Jannacci, Lelio Luttazzi e Vasco Rossi, Verdelli continua a lavorare tra memoria e divulgazione per Rino Gaetano sempre più blu, il documentario prodotto da Sudovest Produzioni e Indigo Film in collaborazione con Rai Documentari che Medusa Film porta al cinema dal 24 al 26 novembre.
Materiali unici – c’è anche un estratto di una traccia inedita, Un Film a Colori – Jet set – e taccuini privati, interviste radiofoniche e testimonianze sparse per restituire la parabola umana e artistica di un cantautore che – sia detto senza retorica – se n’è andato troppo presto (è morto in un incidente automobilistico a trent’anni, nel 1981).
Con i ricordi di amici e colleghi (Riccardo Cocciante, Danilo Rea, Giovanni Tommaso, Shel Shapiro, Edoardo De Angelis, Ernesto Bassignano), gli omaggi di eredi spirituali (Brunori Sas, Lucio Corsi, Giordana Angi e Sergio Cammariere, che regala una sorpresa), i commenti di Carlo Massarini, Andrea Scanzi e Pietrangelo Buttafuoco. E poi Tommaso Labate a bordo Fiat 128 nella natia Calabria, la narrazione affidata alla voce di Peppe Lanzetta e i contributi di Claudio Santamaria, Paolo Jannacci e Valeria Solarino. Ma soprattutto con la benedizione della famiglia Gaetano: “eNon aveva mai dato l’autorizzazione. Io ci sono riuscito” spiega Verdelli.
Come?
Forse perché hanno visto che effettivamente lo conoscevo e ne avevo la prova. Quella è stata l’arma segreta. Rino è stato un tassello necessario nell’Italia tra gli anni Settanta e Ottanta, un periodo in cui sono state scritte delle pagine fondamentali. Come dice giustamente Scanzi, tra il ’75 e l’80 escono alcuni dei dischi più importanti della storia della musica italiana. Tra questi c’è anche l’opera di Rino Gaetano.


Giorgio Verdelli
Citando il titolo di un altro tuo doc, Io, tu, noi e Lucio, su Battisti, mi sembra che la chiave sia simile perché, come hai detto tu, di Rino Gaetano c’è poca autobiografia e molta eredità.
È così. Le cose sono completamente diverse, però quella è la linea narrativa. Diciamo che uno ha dei moduli narrativi. È chiaro che su Rino non si poteva lavorare come su Conte o Jannacci, non avevo una lunga intervista con lui. Quindi mi sono dovuto arrampicare sugli specchi e farlo raccontare da altri utilizzando anche qualche momento onirico-poetico che ho affidato al mio amico Peppe Lanzetta. Che, peraltro, l’ha conosciuto, Rino Gaetano.
Ah!
Questa cosa l’ho girata, ma alla fine non l’ho messa. Era il 1980, Peppe ha incontrato Rino Gaetano a Roma, vicino al Teatro dell’Orologio, uno dei grandi luoghi dell’avanguardia di quell’epoca. Peppe era un giovane scrittore, era in un bar con un attore molto noto all’epoca. Si chiamava Victor Cavallo. Arriva Rino Gaetano e va subito da Cavallo: era un suo ammiratore. E anche Cavallo lo apprezzava. Cominciarono a parlare, Rino aveva competenza teatrale. Tra l’altro verso la fine della sua vita voleva farlo. Peppe, che adorava Rino, mi ha raccontato che non riuscì a proferire parola.
Nel film ci sono Cammariere, Brunori, Corsi e Angi, tutti un po’ eredi spirituali di Gaetano. Non ti sembra che di quella lezione resti soprattutto la dimensione sentimentale piuttosto che quella più urticante?
Beh sì. Ho dovuto fare una scelta perché ovviamente avevo anche dei tempi a cui mi dovevo attenere. Probabilmente avrei potuto intervistare Fabri Fibra, per esempio. Non ho intervistato J-Ax perché sta in quasi tutti i miei film, non volevo ripetermi. Ho cercato anche di prendere strade laterali.
Per esempio?
Questa cosa urticante in realtà sta già dentro lo stesso Rino Gaetano. Quello che secondo me è importante è ribadire quanto la sua eredità sia molto viva e sentita. Del resto, lo stesso Lucio Dalla dice che Rino era un alieno, ma non lo dice solo lui, lo dice pure Scanzi, lo dicono tanti altri. E questo suo essere altro, essere diverso, che all’epoca lo metteva un po’ in ombra. E oggi invece diventa di stringente attualità.


Rino Gaetano sempre più blu
L’Italia è piena di tribute band di Rino Gaetano, le sue canzoni restano nell’aria. Perché continua a essere scoperto dalle nuove generazioni?
Non credo ci sia una risposta definitiva, non ci sono ricette. È vero, però, che ha scritto delle canzoni semplici con testi molto complessi che all’epoca venivano sottovalutati. Adesso lo sentono, perché? Perché adesso siamo in epoca di hip hop, di rap, quindi si fa più caso al testo. All’epoca si faceva caso alla melodia, alla simpatia. Da questo punto di vista dico una cosa provocatoria.
Dilla.
In realtà andare a Sanremo con Gianna ha fatto male a Rino Gaetano. Io ne sono convinto, e lui sarebbe stato d’accordo con me. Peraltro me lo disse privatamente, lui voleva andare con Nuntereggae più ma non glielo consentirono. E questo lo penso nonostante la sua performance sia stata veramente rivoluzionaria. Perché è stato il primo ad andare su quel palco prendendo in giro il festival. E però questa cosa lo ha ridotto a quello della canzonetta simpatica. Questa era un po’ la sua croce. È brutto dirlo, ma non veniva preso sul serio. Lui aveva scritto altro. Adesso ti dico una cosa che mi ha detto Rino.
Prego.
Me l’ha detto lui, non ne ho la riprova: Lucio Battisti adorava Sfiorivano le viole. E non faccio fatica a crederlo. Perché è un pezzo battistiano, se ci pensi. E trovo molto importante la ricostruzione che ha fatto Arturo Stàlteri (pianista tra i più apprezzati nella scena nazionale e internazionale, collaboratore di Gaetano, ndr). C’era questa cosa della Kosmische Musik tedesca, c’era il finale epico che anticipa Franco Battiato. “Il marchese La Fayette ritorna dall’America importando la rivoluzione e un cappello nuovo”: è geniale. L’ha scritto nel ’77! O quando dice: “Michele Novaro incontra Mameli e insieme scrivono un pezzo tuttora in voga”. È una cosa che scrive prima che l’Inno d’Italia venisse rivalutato. All’epoca a chi piaceva l’Inno d’Italia? A nessuno. Non ho la prova, ma sono sicuro che anche Battiato ha ascoltate molto bene Rino Gaetano.


Rino Gaetano sempre più blu
Quarantacinque anni fa, in questo periodo, usciva, E io ci sto.
“Io cerco il rock’n’roll al bar e nei metrò”: oggi dove lo cerchi? Lo cerco dentro di me, è uno stato mentale. Non è solo la chitarra distorta, è un modo di vivere. Rino non amava il rock, ma amava molto il reggae, il cantautorato. Nel film ho voluto mettere Labbate che si muove nel Museo del Rock, che peraltro è a Catanzaro. Ci sono delle cose incredibili. E ho pensato proprio a E io ci sto è perché è l’ultimo disco di Rino. Ci fa capire dove sarebbe andato. La direzione era tra il reggae e il rock. Non a caso, l’inedito è un reggae molto ben suonato, arrangiato dal grande Giovanni Tommaso.
Ci sono altri artisti che vorresti inserire nella tua galleria? Magari un po’ dimenticati?
Tempo fa mi chiamarono per fare Ivan Graziani, ma ero impegnato con Jannacci. Graziani meritava, ma non mi trovavo nel momento giusto, per fortuna nel frattempo è stato rivalutato e mi fa piacere. Se potessi, e prima o poi lo farò, vorrei fare una cosa sugli Squallor. Purtroppo non c’è praticamente materiale. Però… Tutti hanno ascoltato un pezzo degli Squallor, no? La linea potrebbe essere quella. Io poi conoscevo abbastanza bene Totò Stavio, che era il chitarrista degli Squallor. Sai che Totò Stavio sosteneva di essere l’inventore del wa-wa (un particolare effetto sonoro di alterazione del timbro di uno strumento musicale)? Però non lo poteva dimostrare... Vabbè, è una lunga storia questa.

