Non tutti sanno che Scott Derrickson ha un passato di studi in teologia. Eppure, i suoi film parlano chiaro. Se la sua formazione passa per la Biola University - ateneo cristiano, dove studia humanities e comunicazione con minor in teologia – è dietro la macchina da presa che la sua competenza teologica diventa prassi. Da The Exorcism of Emily Rose a Sinister, da Liberaci dal male a Doctor Strange, fino a Black Phone e al sequel nuovo di zecca Black Phone 2, il suo cinema agisce come un banco di prova in cui indagine razionale e rito (processo, inchiesta, esorcismo, carisma) coesistono, si contraddicono e infine si richiamano. La fede, in questo orizzonte e per fortuna, non diventa mai predicazione. Semplicemente perché il cinema non è pulpito ma questione di messa in scena. Vediamo nel dettaglio come si sostanzia questa teologia della messa in scena.

Ontologie e topografie del male

Innanzitutto c’è un puntiglio ontologico in Derrickson, non sempre pervenuto in analoghe latitudini dell’horror contemporaneo: per Derrickson il male è reale e personale, non un mero correlato psicologico. Lo si vede nel montaggio probatorio di Emily Rose (2005), dove il courtroom drama costringe a tradurre in linguaggio del foro la dismisura del demoniaco; lo si ritrova nell’innesto tra poliziesco e demonologia cattolica di Liberaci dal male (2014), con l’infestazione che migra dal teatro di guerra alla città, dalle rovine dell’Iraq al corridoio di casa. In entrambi i casi, il rito non annulla la prova: la affianca, la sfida, la rende porosa. Non si tratta di “film religiosi”, ma di film che restituiscono alla religione il suo statuto epistemologico, di sapere pratico.

(from left) Finn (Mason Thames) and The Grabber (Ethan Hawke) in Black Phone 2, directed by Scott Derrickson. © 2025 Universal Studios. All Rights Reserved.
(from left) Finn (Mason Thames) and The Grabber (Ethan Hawke) in Black Phone 2, directed by Scott Derrickson. © 2025 Universal Studios. All Rights Reserved.
(from left) Finn (Mason Thames) and The Grabber (Ethan Hawke) in Black Phone 2, written and directed by Scott Derrickson.

Questo saper fare passa per immagini e spazi: architetture morali dove colpa e redenzione prendono forma topografica. Dal labirinto sadico-allucinatorio di Hellraiser: Inferno (2000), primo lungometraggio diretto da Derrickson, alla Manhattan funebre di Liberaci dal male, fino agli scantinati-limbo di Black Phone (2021), gli ambienti sono sempre figure del giudizio.

Media maledetti

La seconda chiave è iconologica: il male abita il medium. In Sinister (2012) il Super 8 diventa reliquia maledetta, capace di “imprigionare e trasferire” il demoniaco da una casa all’altra - una teologia dell’immagine in chiave profana, che risveglia secolarmente l’antica paura che l’icona catturi l’anima. L’oggetto-supporto non è un feticcio scenico, ma un sacramentale rovesciato: rende presente un’assenza, veicola una presenza disturbante.

Sinister (2012) - @webphoto Phillip Caruso@ 2011
Sinister (2012) - @webphoto Phillip Caruso@ 2011

Sinister (2012) - @webphoto Phillip Caruso@ 2011

Questa intuizione ritorna con una diversa grammatica in Black Phone: il telefono guasto che squilla dall’aldilà è il correlativo uditivo del Super 8; il medium non si limita a mediare, ma convoca. Il regista, in più occasioni, ha dichiarato di aver lavorato il suono come “materiale primario della paura infantile”: l’infanzia non vede il male, lo sente.

Acustica del perturbante

E qui veniamo al capitolo sonoro. Con Sinister, complice Christopher Young, Derrickson impasta score, sound design e rumori found fino a cancellarne i confini, costruendo un bordone continuo liturgico che non descrive l’azione: la invoca. In Black Phone e Black Phone 2, il lavoro di Mark Korven radicalizza la scelta: timbri ruvidi, bassi continui, creaks e scrapes che trasformano la traccia in epiclesi sonora, chiamata della presenza.Se il cinema dev’essere sacramentale, nel senso forte del termine - segno efficace -, lo è qui soprattutto per via acustica.

Doctor Strange e il misticismo pop

Il passaggio nel MCU, con Doctor Strange (2016), potrebbe apparire un’eccezione. In realtà ne è la conferma: il percorso dell’arrogante chirurgo verso la resa all’ignoto è un racconto di conversione nel linguaggio della cosmic fiction. Il film elude il teismo esplicito, ma conserva un tratto fondamentale della teologia praticata da Derrickson. Il “mistero” non è qui un dogma da accettare, bensì un evento percettivo che scompagina l’ordine del conoscere: la caduta non è morale, è percettiva; la redenzione non è pentimento, ma spostamento dello sguardo, un cambio di frame che ridefinisce la relazione fra soggetto e mondo.

Doctor Strange (2016) - @Webphoto
Doctor Strange (2016) - @Webphoto
Marvel's DOCTOR STRANGE..Doctor Stephen Strange (Benedict Cumberbatch)..Photo Credit: Jay Maidment..©2016 Marvel. All Rights Reserved.

Il chirurgo che dominava la materia con la precisione del bisturi e la ragione con la padronanza del metodo perde, in un istante, la propria sovranità cognitiva: le mani tremano, la visione si frammenta, l’universo si dilata. L’Aldilà di Derrickson è un elsewhere che non chiede fede, ma dislocazione: l’abbandono del punto di vista unico. Le sequenze di estasi visiva e vertigine cosmica, costruite come un viaggio psichedelico alla Kubrick ma animate da un fervore agostiniano, traducono in immagine la dinamica mistica della conoscenza che non libera dal mistero, ma vi introduce.

Black Phone 2: cosmogonia dantesca del gelo

Con Black Phone 2 (2025) Derrickson compie un passo ulteriore: dall’aldilà telefonico del primo capitolo a una cosmogonia ultraterrena compiuta. La scelta più audace è l’Inferno freddo: non più fiamme, ma ghiaccio; non più fuoco, ma stasi. È una ripresa libera e dichiarata dell’immaginario di Dante (Cocito, Inf. XXXII-XXXIV): la perdizione come immobilità, il peccato come raffreddamento dell’umano.

Demián Bichir as Mando in Black Phone 2, directed by Scott Derrickson. © 2025 Universal Studios. All Rights Reserved.
Demián Bichir as Mando in Black Phone 2, directed by Scott Derrickson. © 2025 Universal Studios. All Rights Reserved.
Demián Bichir as Mando in Black Phone 2, directed by Scott Derrickson.

Il film spinge poi sul Purgatorio come sospensione - anime bloccate in attesa d’essere liberate - e affida a Gwen la funzione di psicopompa: fanciulla-traghettatrice con un dono, un carisma profetico che non ha nulla di medianico nel senso spiritistico; è piuttosto discernimento, capacità d’ascolto, memoria salvifica dei piccoli martiri. Se Black Phone istituisce il rito dell’ascolto (“i morti ci istruiscono”), Black Phone 2 lo spazializza: inferno come landa di ghiaccio, purgatorio come pozzo d’attesa, mondo dei vivi come luogo dove la grazia può ancora irrompere.

La frase chiave - “le parti ancora umane vanno lasciate all’inferno” – dice che l’Inferno non è il luogo dove l’umano è bruciato, ma dove l’umano è trattenuto, congelato per sempre, sottratto al flusso della misericordia. Le superfici gelate che il film moltiplica sostengono visivamente un’idea teologica precisa: la dannazione è perdita del movimento.

Un corpus come “un unico film”

Considerare l’opera di Derrickson come un unico film non è un esercizio di stile, ma un metodo critico per cogliere la trama nascosta di rimandi, analogie e ricorrenze che la percorrono dall’inizio alla fine. Nei suoi film gli oggetti - dal Super 8 di Sinister al telefono di Black Phone e Black Phone 2 - non sono meri strumenti narrativi, ma veicoli di presenza, mediatori tra mondi, reliquie di un aldilà che preme sul visibile. Allo stesso modo, il rapporto fra rito e ragione, così evidente in The Exorcism of Emily Rose e in Liberaci dal male, disegna un campo di tensione in cui il soprannaturale non cancella la logica, ma la espone al rischio dell’inspiegabile, la mette alla prova dentro un tribunale o una questura trasformati in luoghi teologici.

(from left) Mustang (Arianna Rivas), Gwen (Madeleine McGraw) and Finn (Mason Thames) in Black Phone 2, directed by Scott Derrickson. © 2025 Universal Studios. All Rights Reserved.
(from left) Mustang (Arianna Rivas), Gwen (Madeleine McGraw) and Finn (Mason Thames) in Black Phone 2, directed by Scott Derrickson. © 2025 Universal Studios. All Rights Reserved.
(from left) Mustang (Arianna Rivas), Gwen (Madeleine McGraw) and Finn (Mason Thames) in Black Phone 2, directed by Scott Derrickson.

Anche la geografia dei film risponde a una logica escatologica: lo scantinato-limbo di Black Phone e le lande ghiacciate-inferno di Black Phone 2 non sono allegorie, ma spazi reali dell’aldilà, articolazioni visibili di un ordine ontologico che “c’è, e ha forma”. L’orrore, in questo universo, è anzitutto uditivo: dal drone cupo e persistente di Christopher Young in Sinister al mondo sonoro più materico e infantile costruito da Mark Korven nei Black Phone, la paura nasce prima nell’orecchio che nell’occhio, come se il male si annunciasse sempre attraverso una vibrazione.

Infine, al centro di ogni racconto, si staglia una figura del testimone: l’avvocato e i giudici di Emily Rose, i poliziotti e i cappellani di Liberaci dal male, i fratello e sorella veggenti dei Black Phone, lo scienziato superbo di Doctor Strange. Tutti incarnano la stessa postura: la vulnerabilità di chi, di fronte al mistero, non può che constatarne l’irruzione. La salvezza, nel cinema di Derrickson, non appartiene ai puri o agli eroi, ma a chi resta esposto, a chi guarda, ascolta e - nonostante tutto - crede.

Liberaci dal male (2014) © 2014 Screen Gems, Inc. All Rights Reserved. ALL IMAGES ARE PROPERTY OF SONY PICTURES ENTERTAINMENT INC. FOR PROMOTIONAL USE ONLY. SALE, DUPLICATION OR TRANSFER OF THIS MATERIAL IS STRICTLY PROHIBITED.
Liberaci dal male (2014) © 2014 Screen Gems, Inc. All Rights Reserved. ALL IMAGES ARE PROPERTY OF SONY PICTURES ENTERTAINMENT INC. FOR PROMOTIONAL USE ONLY. SALE, DUPLICATION OR TRANSFER OF THIS MATERIAL IS STRICTLY PROHIBITED.
Special ops NYPD officers Sarchie (ERIC BANA) and Butler (JOEL McHALE) in Screen Gems' DELIVER US FROM EVIL.

In questo senso Derrickson non è un “difensore della fede”. I suoi film non chiudono le questioni, le mantengono in tensione, le mettono al lavoro. Il processo di Emily Rose non dimostra nulla una volta per tutte, ma sposta il carico della prova sullo spettatore; Liberaci dal male strappa il demoniaco all’esoterico e lo riconduce al contesto urbano; Doctor Strange è una parabola sincretica sulla resa al mistero; Black Phone insiste sull’ascolto dei defunti - quei bambini uccisi che “catechizzano” alla resistenza - mentre Black Phone 2 tenta una vera e propria cartografia escatologica pop. In tutti i casi la teologia è operativa: non un’idea, ma una pratica, fatta di gesti, di riti minimi, di discernimenti.