Miss Italia di Duilio Coletti (1950) disponibile su RaiPlay
Alla seconda edizione del concorso di bellezza più famoso del Paese, nel 1947, arriva terza: sul podio la precedono nientemeno che Lucia Bosè e Gianna Maria Canale, in gara ci sono Eleonora Rossi Drago e Silvana Mangano. Tre anni dopo interpreta una variante di se stessa (una ragazza di provincia che si sfila da un losco figuro e vince la corona) in un film nato da un’idea di Alberto Lattuada che, oltre al valore della testimonianza, andrebbe riscoperto per la capacità di raccontare un fenomeno di costume attraverso una prospettiva insolita, tra la commedia malinconica e il noir all’italiana tipico del periodo.

Fanfan la Tulipe di Christian-Jacque (1951) disponibile su Infinity
Quando la scopre in questa avventura brillante ambientata nel Settecento, la Francia si innamora di lei. È la figlia di un sergente che si finge zingara e predice al protagonista la carriera militare e il matrimonio con la figlia del re: un ruolo che richiede un certo spirito, che non le è mai mancato. Ma la Lollo si impone come eroina romantica, vitale e scatenata ma anche romantica e sensibile. Con Gérard Philipe, divo dell’epoca morto troppo presto, forma una coppia abbagliante: è soprattutto merito loro se il film diventa un hit internazionale, capace di vincere il premio della regia a Cannes e l’Orso d’Argento a Berlino.

La provinciale di Mario Soldati (1952) disponibile su Chili
Forse il suo capolavoro d’attrice. Sembra scontornata dall’opera di Alberto Moravia, così umana in tutte le sue contraddizioni, Lollobrigida è nel pieno di quella naturale, anarchica, erotica complessità che sanno esprimere solo le giovani attrici che sanno fregarsene delle sovrastrutture. Il film è magnifico, il migliore di Soldati che l’ha scritto anche con Giorgio Bassani, un cupo mélo e un noir psicologico che non sfigura di fronte alle coeve produzioni americane: piani-sequenza da panico, la profondità di campo usata in funzione narrativa per nascondere il (fortissimo) punto di vista, la ricomposizione finale in senso borghese che appare quasi una beffa.

Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini (1953) disponibile su RaiPlay
Pane, amore e gelosia di Luigi Comencini (1954) disponibile su RaiPlay
I due film che la consacrano definitivamente e la trasformano in una icona popolare. Esuberante, schietta, genuina, irruenta, romantica: la Bersagliera (in pochi ricordano il nome di battesimo: Maria) è il simbolo del dopoguerra e di un’Italia desiderosa di baccagliare e fare pace, affamata di futuro e con una disperata voglia di innamorarsi. Accanto a lei, il maresciallo Vittorio De Sica, ben felice di lasciarsi travolgere da quell’uragano. Grande successo internazionale, Orso d’Argento a Berlino, nomination all’Oscar per il soggetto. Alla Lollo il primo Nastro d’Argento della carriera.

Gina Lollobrigida in Pane, amore e gelosia (Titanus/Webphoto)
Gina Lollobrigida in Pane, amore e gelosia (Titanus/Webphoto)

Gina Lollobrigida in Pane, amore e gelosia (Titanus/Webphoto)

La romana di Luigi Zampa (1954) disponibile su Prime Video
Ancora Moravia, ancora un ritratto di donna drammatico reso con grande potenza espressiva. Potrebbe intitolarsi anche Gli uomini, che mascalzoni: sono tutti evitabili, ma anche la mamma della protagonista te la raccomando. Scritto da Zampa con Moravia, Bassani ed Ennio Flaiano, è un mélo popolare nell’Italia fascista (che resta sfumata: la Democrazia cristiana aveva imposto un veto sulle storie ambientate durante il Ventennio) con una donna dissoluta e perduta, coraggiosamente “dalla parte di lei” senza retorica né paternalismo: in fondo è l’unica a resistere, sempre e comunque.

Venere imperiale di Jean Delannoy (1962) disponibile su Cineautore
All’epoca trovò il suo pubblico in sala, rivisto oggi sembra un polpettone quasi insostenibile (e la stessa storia, raccontata in due ore e mezza, sarebbe diventata una serie di dieci puntate con più carne esposta, diciamo). Tipico prodotto popolare del periodo, decorativo e fastoso per impressionare gli spettatori, ma soprattutto un veicolo per la sua protagonista. Che pare divertirsi nei costumi sfarzosi di Paolina Bonaparte. Con una certa generosità prese i principali premi della stagione, David e Nastro (superando Monica Vitti e Franca Valeri: ah, lo star system di una volta).

Gina Lollobrigida in Venere imperiale (Cineriz/Webphoto)
Gina Lollobrigida in Venere imperiale (Cineriz/Webphoto)

Gina Lollobrigida in Venere imperiale (Cineriz/Webphoto)

Mare matto di Renato Castellani (1963) disponibile su RaiPlay
Il povero Castellani, uno dei nostri autori più misconosciuti e straordinari, era nella fase calante, ma Franco Cristaldi gli offre la possibilità di una coproduzione con la Francia, mettendogli a disposizione la strana coppia formata dalla Lollo e Jean-Paul Belmondo. Lui è un marinaio tenebroso e simpatico detto “il Livornese”, lei ha una pensioncina e un peschereccio: diventano amanti e fanno affari. Un film davvero strano: un po’ commedia e un po’ mélo, il ricordo del neorealismo che fu e la confezione dello spettacolo d’autore che verrà. Non piacque quasi a nessuno: si sbagliavano quasi tutti.

La morte ha fatto l’uovo di Giulio Questi (1968) disponibile su Chili
Una ricca imprenditrice di pollame che mantiene il marito inetto e intellettuale. La più assurda, folle, incredibile interpretazione della Lollo: era cosciente? Chissà. Clamoroso e bizzarro giallo dai cromatismi pop sul capitalismo cannibale e sul consumismo selvaggio, espressione totale del sodalizio tra l’autore e il mitologico montatore Franco Arcalli, apologo surreale e polemico che legge la realtà in senso deformante. Incredibile vedere quella diva così attenta alla propria immagine idealizzata in un film del genere, straniante ed eversivo. D’altronde non è stata un’attrice imprevedibile e (diciamolo pure) tutta da riscoprire?

Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini (1972) disponibile su RaiPlay
In quello che probabilmente il miglior sceneggiato televisivo di sempre, la Lollo ormai in disarmo cinematografico (ma nello stesso anno partecipa a due assurdità: la commedia western E continuavano a fregarsi il milione di dollari e addirittura una collaborazione con Jerzy Skolimowski, Un ospite gradito… per mia moglie) ritrova il Comencini dei Pane e amore (e, nel ruolo del giudice, c’è anche De Sica) e dà vita a a una Fata turchina del tutto personale. Una caratterizzazione generalmente non troppo amata, invece sorprendente per l’equilibrio tra severità algida, evocazione camp, malinconia fantasmatica, insolita maternità. Notevole la lettura data dagli sceneggiatori Comencini e Suso Cecchi D’Amico: la Fata è la moglie morta di Geppetto (si vede un ritratto nella sua casetta) e Pinocchio è il figlio creato dal padre che ritrova la madre mai conosciuta (Guillermo del Toro scansati).