Repubblicano spagnolo rifugiato politico, surrealista esule nel cinema di genere, a 46 anni Buñuel comincia in Messico la sua carriera professionale di regista. Lì gira El, Lui, presentato al Festival di Cannes nel 1953 e per la prima volta distribuito in Italia grazie al restauro della Cineteca di Bologna. Un’occasione irripetibile per ripercorrere il periodo “messicano” del regista spagnolo, con l’ausilio di Tonino Repetto, che a Buñuel ha dedicato il volume monografico Luis Buñuel – La logica irridente dell’inconscio, per la collana Le Torri della Fondazione Ente dello Spettacolo.
Fra la prima fase surrealista e l’ultima grande stagione francese (da Bella di giorno a Quell’oscuro oggetto del desiderio), Buñuel opera per lunghi anni, nel periodo centrale della sua parabola creativa, nel cinema industriale messicano. Deve fare i conti con i cast inadeguati, i budget limitati, i codici narrativi del cinema commerciale. Realizza anche due remake, Una mujer sin amor da Pierre e Jean di Cayatte e La hija del engaño da Don Quintin el amargao girato ai tempi della Filmófono, che dimostra la continuità fra il Buñuel produttore e il Buñuel regista professionale.

*Nella sua lunga carriera messicana che dura all’incirca vent’anni, dal ’46 al ’65, i film di genere si alternano ai film d’autore. Una produzione quantitativamente rilevante che comprende sia quelli definiti da Buñuel stesso alimentari, sia quelli unanimemente riconosciuti dalla critica come capolavori. Qual è il rapporto che si instaura in questo periodo fra la sua ispirazione surrealista e le necessità logiche dei racconti convenzionali che è costretto a filmare? La critica ispanófona rivaluta il Buñuel messicano. Amengual, che ne esalta soprattutto il «realismo», lo definisce come il «più ricco e più fecondo», mentre il Buñuel francese è il meno sorprenente «perché Carrière in ubbidienza allo spirito buñueliano propone a Buñuel di fare dei film di Buñuel. Ne deriva una certa aria sistematica». Il critico messicano Tomás Pérez Turrent rimprovera all’ultimo Buñuel francese di essere “decaffeinato”: «straordinario sotto molti punti di vista, è un Buñuel ludico capace di giocare con le idee, ma è un Buñuel che ha perso gli artigli». E parla di «carnalità messicana» contrapposta all’«astrazione francese».

Él
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Da parte sua, Buñuel nell’intervista già più volte citata a de la Colina e Turrent chiarisce quale sia il suo rapporto con le regole industriali del cinema. José de la Colina: «Nei suoi film surrealisti orto dossi le immagini si manifestano in modo esplosivo anche se non si fondono con il racconto. Anche nei suoi film posteriori ci sono immagini esplosive ma giustificate dal racconto». Buñuel: «Adesso non posso iniziare un film con le lumache sul collo di un personaggio o formiche sulle mani. Lascio che il racconto faccia apparire le sue immagini, e, molte volte, se quelle immagini so no troppo evidentemente scioccanti, le sopprimo. Certo, le ossessioni visive appaiono in un modo o nell’altro». T. Pérez Turrent: «Entrando nel cinema industria le lei si è visto obbligato ad accettare una storia più o meno coerente». Buñuel: «Sì, bisognava raccontare una storia. A volte, all’interno della storia, potevo inserire elementi inquietanti, che suggerissero una diversa dimensione delle cose. […] Un chien andalou e L’âge d’or, sono esperienze irripetibili. Non posso filmare occhi tagliati e mani piene di formiche in tutti i miei film, ma le mie tendenze irrazionali sussistono tuttora […] C’è il tentativo di fare dell’onesto cinema di mercato che interessa il pubblico […] sono molto cosciente del fatto che sono stati investiti dei soldi, che c’è il lavoro di molta altra gente e questo mi dà una certa responsabilità. D’altra parte, c’è l’imperativo subcosciente che cerca di venire alla luce. Faccio i film per un pubblico normale, e anche per gli amici, per quelli che coglieranno l’uno o l’altro riferimento, che resterà più o meno oscuro per gli altri. Ma faccio in modo che questi elementi non rallentino lo svolgimento dell’azione».

Per comprendere i film messicani di genere, dunque, la chiave di lettura più efficace è quella proposta da Farassino: «Lo sradicamento e l’esilio sono una chiave per guardare tutto il suo cinema messicano anche e soprattutto da un punto di vista stilistico. La pratica surrealista del dislocamento dell’oggetto rispetto al contesto diventa in lui l’esilio dell’immagine, nostalgia di un cinema che ogni tanto riaffiora in quel nuovo paese che è il cinema di genere messicano».

Ad esempio in Adolescenza torbida (1950), uno dei più esemplari film messicani di Buñuel, si realizza «la sua poetica di sopravvivenza estetica, essere se stesso nelle pieghe, per così dire, dell’inconscio dei film che l’industria gli consente di fare, girare da surrealista esiliato nel cinema commerciale». Nelle opere cosiddette minori l’ispirazione surrealista di Buñuel si mimetizza, per così dire, all’interno dei generi (la commedia ranchera, il melodramma, la zarzuela) e dei codici, insinuandovi elementi di instabilità, di turbamento che ne mettono in crisi, o trasgredendoli o esasperandoli, i moduli narrativi. La grande rapidità di esecuzione (due o tre settimane al massimo di lavorazione) non impedisce mai il tocco autoriale.

Nei film di genere di questo periodo si trovano infatti immagini, inserti, oggetti del suo lessico surrealista che emergono dal tessuto tradizionale del racconto. Il cosiddetto Buñuel touch è presente anche nei film che Buñuel gira su commissione. In Gran Casino ad esempio, il primo film girato in Messico, una commedia musicale con elementi noir realizzata al servizio di due star cantanti famose dell’epoca, durante un colloquio d’amore con la donna Gerardo, il protagonista interpretato da Jorge Negrete, compie un gesto assurdo: con un bastoncino rimesta in una pozza nera di petrolio (la storia è ambientata nella zona petrolifera di Tampico). Buñuel abbandona i due personaggi, evita il campo controcampo tradizionale nelle scene d’amore a due e inserisce (al montaggio) il particolare del bastoncino che rimesta in una nera poltiglia richiamando subliminalmente il tema scatologico del fango/feci di L’âge d’or. Nel finale di Il Bruto, un melodramma sociale a tinte espressioniste, dopo l’uccisione del protagonista da parte della polizia, una strana gallina nera guarda Paloma, l’amante tradita e sconvolta. Il Buñuel touch si avverte nelle sequenze oniriche inserite in alcuni film: il sogno edipico di Pedro in I figli della violenza, la rêverie erotica di Oliverio in Subida al cielo, l’incubo nel quale il padre appare a Robinson in Robinson Crusoe; nei collage surrealisti come i quarti di bue o la statua del Cristo trasportati nel tram, in La ilusión viaja en tranvía (una descrizione quasi “neorealistica” della vita messicana popolare attraversata da immagini e flash surreali), la statua della Vergine di Guadalupe nel mattatoio del Rastro in Il Bruto, la foto del Cristo incoronato di spine sghignazzante visto nel delirio da Ándara in Nazarín.

Adolescenza torbida @Webphoto
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Esemplare, per capire il complesso rapporto che si stabilisce in questa fase dell’opera buñueliana fra cinema d’autore e cinema di genere, fra un progetto “surrealista” e le esigenze dello star system messicano, cioè i compromessi a cui il regista esule deve assoggettarsi in Messico, è Cime tempestose, un film del 1952, scritto con Unik vent’anni prima. Buñuel lo gira con un cast assolutamente inadeguato. Non è un film memorabile, ma nella sequenza necrofila finale dell’incontro fra Alejandro e Catalina nella tomba di quest’ultima, si esprime già il migliore Buñuel narratore gotico, che ne farà poi una sorta di remake nell’episodio della visita al cimitero del questore alla sorella morta di Il fantasma della libertà.

Nonostante i budget ridicoli, i cast inadeguati, i tempi di lavorazione rapidissimi, Buñuel riesce ugualmente a conquistarsi uno spazio e una libertà per realizzare alcuni capolavori: I figli della violenza, Él, Estasi di un delitto, Nazarín, Viridiana, L’angelo sterminatore. Per la verità, Viridiana, nonostante sia una coproduzione messicano-spagnola è, a tutti gli effetti, il film del ritorno in Spagna. È il suo terzo film messicano, I figli della violenza, che costituisce, a giudizio unanime della critica, la sua rinascita di autore. Proseguendo in qualche modo la linea realistica di Las Hurdes presenta una novità importante nel cinema buñueliano. Il soggetto originale, scritto con Julio Alejandro, che nasce anche da una serie di inchieste sociologiche e di notizie di cronaca sulla condizione sociale di abbandono e di disperazione dei ragazzi della periferia di Città del Messico, dove Buñuel compie vari sopralluoghi prima di girare il film, si ispira per la prima volta al romanzo picaresco. Descrivendo il rapporto fra il cieco malvagio e il ragazzino Ojtos, come ha notato Octavio Paz, Buñuel s’ispira infatti ai personaggi del cieco e di Lazarillo in Lazarillo de Tormes.

I figli della violenza @Webphoto
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È così che il regista recupera le radici del realismo spagnolo. Non per questo abbandona la sua ispirazione surrealista. Aveva progettato di inserire nel film due immagini dichiaratamente surreali: un’intera orchestra sinfonica appollaiata sulle impalcature di una casa in costruzione che esegue musica wagneriana nella sequenza dell’assassinio di Julián da parte di Jaibo, e un cappello a cilindro nella catapecchia dove vivono il piccolo Pedro e la madre. Questi elementi sono stati espunti dalla produzione. Tuttavia Buñuel, filmando il sogno edipico di Pedro, coniuga il surrealismo con il realismo visionario spagnolo. E nella forma realistica di un film, che ha qualche affinità tematica e contenutistica con il neorealismo italiano (Sciuscià), rimangono elementi perturbanti tipicamente surrealisti come ad esempio la gallina nera che guarda il cieco picchiato dalla banda dei ragazzi. La malvagità programmatica e scandalosa di el Jaibo, rappresentata nell’aggressione spietata al cieco e al mutilato, ricorda, in un contesto realistico e culturale molto diverso, il comportamento trasgressivo e amorale del protagonista ribelle e anticonformista di L’âge d’or. Fili sottili collegano dunque questo film a L’âge d’or e testimoniano la continuità e al tempo stesso l’evoluzione dell’ispirazione buñueliana. Il film surrealista archetipico del ’30 ritorna in qualche modo nel periodo messicano, nel quale avviene sul piano narrativo e tematico un mutamento importante.

Nel cinema di Buñuel compare per la prima volta uno dei suoi personaggi chiave: la figura dell’hidalgo, un gentiluomo d’altri tempi, religioso e conformista, ligio ai dettami della morale comune, che coltiva desideri e perversioni sessuali. È una rielaborazione del protagonista di L’âge d’or e del suo amour fou frustrato, che coniuga la figura del Don Juan con il tipico eroe immorale sadiano e sviluppa il tema dell’impotenza e della frustrazione dell’individuo nel suo rapporto fra l’immaginazione e la realtà. Questo personaggio nasce nel cinema di genere. Adeguandosi allo star system, ponendosi al servizio di un attore comico come Fernando Soler, Buñuel aveva cominciato a costruirlo in La hija del engaño e soprattutto in Adolescenza torbida dove il rapporto fra il padre di famiglia don Guadalupe e la procace Susana prefigura già quello fra il don Jaime di Ferdinando Rey e Viridiana, quello fra don Lope e Tristana, e quello fra Mathieu Faber e Conchita in Quell’oscuro oggetto del desiderio.

Don Francisco Galván, protagonista di Él, è appunto una prima raffigurazione dell’eroe buñueliano. «Él segna una data importante perché riprende il soggetto di L’âge d’or e la presenza del Divin Marchese è visibile in ciascun momento in questa sceneggiatura che per il pubblico messicano è rimasta un volgare melodramma sulla gelosia […]. La donna che ama è una personificazione di Justine […]. Él è una nuova versione delle due ultime sequenze di L’âge d’or». Don Francisco Galván nel suo castello, come Archibaldo, il protagonista di Estasi di un delitto, nel suo palazzo e don Jajme nella sua fattoria, coltiva progetti sadiani. Nel film surrealista del ’30 il personaggio interpretato da Modot aveva dei comportamenti di ribellione e di trasgressione dettati dalla sua forza istintuale imprigionata dalle costrizioni sociali. Don Francisco Galván, feticista frustrato dalla gelosia morbosa e possessiva in una famosa sequenza, armato di ago, corda, lametta, forbici, penetra nella stanza della moglie per compiere un gesto che Buñuel non rappresenta, ma che allude chiaramente a un famoso testo di Sade La philosophie dans le boudoir: la cucitura del sesso. Nel pre-finale, quando disperato per la fuga della moglie ritorna nella chiesa, dove per la prima volta l’aveva vista e se n’era innamorato, e assale il celebrante, il suo comportamento delirante è simile a quello di Modot nella sequenza finale di L’âge d’or.

L'angelo sterminatore @Webphoto
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Un film quest’ultimo che è rievocato anche in un’altra sequenza: durante un ricevimento, interrotto da un crollo misterioso nella stanza vicina, analogo all’improvviso incendio che interrompe la festa aristocratica di L’âge d’or, don Francisco, corteggiando Gloria, “declama” la propria fede nell’amour fou e in un giardino simile a quello di L’âge d’or la bacia per la prima volta. Archibaldo, «una specie di dottor Jekyll e mister Hyde del cattolicesimo», il protagonista di Estasi di un delitto, una sorta di versione buñueliana di Monsieur Verdoux con ironico happy end, ossessionato da un trauma infantile e aspirante assassino frustrato di donne, è una variante dell’eroe di Él. È ancora il ritratto di un personaggio che nasce da una “fusione” fra l’hidalgo Don Juan e il Divin Marchese. Le sue fantasticherie somigliano a quelle di Séverine in Bella di giorno.

Questi due film, simili sul piano tematico e sul piano strutturale (in entrambi la storia ha una costruzione a flash back: in Él una gran parte della vicenda è raccontata all’amico Raúl dalla moglie di Francisco Galván; in Estasi di un delitto il racconto delle imprese criminali è fatto dallo stesso protagonista), sono però molto diversi per l’atmosfera: cupa e gotica nel primo, ricca di humour noir nel secondo Estasi di un delitto è anche una riflessione sul rapporto fra immaginazione e realtà che preannuncia il tema fondamentale di Bella di giorno. Le immagini mentali delle fantasie erotico-omicide di Archibaldo de la Cruz sono propiziate dalla musica del carillon, oggetto talismano della sua infanzia, in Bella di giorno il suono delle sonagliere del landò dà il via alle rêverie di Séverine. L’attore Ernesto Alonso, interprete di Archibaldo de la Cruz, avrebbe dovuto recitare il ruolo di don Lope nel film Tristana, tratto dal romanzo di Pérez Galdós, progettato da Buñuel in questo periodo. Se fosse stato realizzato in Messico, avrebbe avuto molti più punti in comune con Estasi di un delitto. Ripreso nel ’62 per Stefania Sandrelli, sceneggiato con il suo collaboratore messicano Alejandro, girato in Spagna molti anni dopo, nel 1970, con Catherine Deneuve e Fernando Rey, costituisce tuttavia una sorta di post scriptum “messicano” nell’ultima fase francese.

È «in pieno periodo intellettuale francese, un film di stile e genere messicano». Può essere utile quindi prenderlo in esame adesso, per capire il passaggio dal Buñuel messicano al Buñuel francese. Tristana dimostra come, dopo l’esperienza decisiva di Bella di giorno, sia maturato un tema già accennato nel rapporto fra don Guadalupe e Susana (Adolescenza torbida). Don Lope è infatti l’ultima incarnazione dei grandi, patetici signori d’altri tempi descritti da Buñuel in Él ed Estasi di un delitto. C’è un altro elemento che accomuna quest’ultimo film e Tristana. È il tema della mutilazione, che ha un suo percorso in tutto il cinema buñueliano a partire da Un chien andalou. In una sequenza di Estasi di un delitto Archibaldo de la Cruz tenta di bruciare nel suo forno di ceramista una delle sue vittime, quando un caso, l’arrivo dei turisti americani, la sottrae al suo desiderio omicida. Allora Archibaldo afferra un manichino, sosia perfetto della donna, e incomincia a trascinarlo verso il fuoco. Il manichino perde una gamba: un’immagine che può essere considerata un’anticipazione della mutilazione della gamba di Tristana che per tutta la seconda parte del film viene sostituita da una protesi. Per quanto riguarda invece i rapporti stilistici e strutturali fra Tristana e Bella di giorno, avremo modo di parlarne in sede di analisi della sequenza finale di Bella di giorno.

Viridiana @Webphoto
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Non è tutto messicano il Buñuel “messicano”. A metà degli anni ’50, come abbiamo già ricordato nel capitolo precedente, il regista gira due film, Gli amanti di domani, La selva dei dannati, il primo di produzione franco-italiana, il secondo di produzione franco-messicana. Entrambi, tratti da testi letterari, sono realizzati su commissione. Non sono memorabili. L’importanza di questi film consiste soprattutto nel fatto che Buñuel li gira con una troupe tecnica e un cast prevalentemente francese composto da attori come Julien Bertheau, Georges Marchal e Piccoli, che saranno presenze significative nell’universo buñueliano del successivo periodo francese. Completa un’ideale trilogia “francese” del periodo messicano L’isola che scotta, un film di ambientazione tropicale con Gérard Philipe. Sono tre film significativi soprattutto perché rappresentano una normalizzazione narrativa del cinema buñueliano che, proprio nel periodo messicano, acquista una “scorrevolezza” che sarà tipica della produzione dell’ultima fase francese. Anche Diario di una cameriera, girato in Francia su commissione, è ancora in qualche modo affine per il soggetto e per il tema a un film messicano come Adolescenza torbida. Célestine, la cameriera parigina che prende servizio presso la famiglia Monteil introduce in una casa borghese di provincia lo stesso turbamento che la giovane Susana portava nella fattoria di don Guadalupe. Come Susana è concupita da tutti gli uomini della famiglia. Il vecchio Rabour feticista, che costringe Célestine, una Susana più astuta e consapevole, a camminate esibizionistiche con vari tipi di scarpe, può essere considerato una variante di don Guadalupe nel suo desiderio frustrato di Susana. Il suo rapporto con Célestine è una “replica” comica di quello fra don Jajme, altro grande feticista, e Viridiana. In questo film c’è anche una gustosa parodia del tema dell’amour fou. Il signor Monteil, interpretato da Michel Piccoli, frustrato nel suo tentativo di conquista di Célestine, si rivolge alla poco appetibile serva (Muni). La sua dichiarazione di fede incrollabile nella potenza dell’amor fou è pronunciata in un contesto comico: poco prima di spingere la malcapitata dentro il pollaio per mettere in pratica il suo credo.

Diario di una cameriera è un film ricco di humour, dalla scrittura semplice e funzionale che non esibisce, ma non nasconde nemmeno il Buñuel touch. Poco buñueliani, almeno in apparenza, sono i film “americani “o meglio di coproduzione messico-americana di questo periodo. Robinson Crusoe, il primo film a colori di Buñuel, fedele alla lettera ma non allo spirito del romanzo di Defoe, è una riflessione sull’uomo (colonialista occidentale) e sulla solitudine del naufrago, nel quale sogni e incubi si alternano alla descrizione della sua vita solitaria sull’isola. Un “Venerdì” nei panni di un musicista di colore ingiustamente accusato di stupro, che si rifugia in un’isola dove è costretto a subire l’atteggiamento razzista di tre uomini bianchi, è il protagonista di Violenza per una giovane, una sorta di versione moderna di Robinson Crusoe, nella quale il tema del razzismo non ha nulla di moralistico e di predicatorio come nel romanzo Travellin’ Man di Peter Matthiesen, da cui il film è tratto. Secondo molti critici, ad esempio de La Colina, è il film meno “buñueliano” dell’intera opera di Buñuel. Per Farassino invece «forse nessun altro film è così ossessionato da certi suoi motivi ricorrenti: feticismo dei piedi e delle scarpe; isotopia animalesca ricchissima». Ma questi motivi sono come norma lizzati in una struttura narrativa che segue lo standard hollywoodiano.

*Tratto da Luis Buñuel – La logica irridente dell’inconscio (Ed. Fondazione Ente dello Spettacolo, 2008, pp 182)