Se i miei genitori non mi avessero fatto vedere i seguenti film: Io ti salverò, Don Camillo e Il massacro di Fort Apache, penso che non mi sarei mai innamorato del cinema. E siccome in questi giorni corre il 55esimo anniversario della mia prima visione di uno dei tre volevo celebrarlo con voi. Credo sia importante rivelare che la visione è stata fruita tramite un televisore a tubo catodico di 24 pollici, avevo 10 anni e la febbre a 38.4 a causa di una tonsillite, e siccome il giorno dopo non sarei andato a scuola ho avuto il permesso di stare sveglio: non tutte le febbri vengono per nuocere.

Uno degli innumerevoli capolavori di Alfred Hitchcock Io ti salverò narra la vicenda della psicanalista più bella di sempre, Ingrid Bergman, e del malato di mente più affascinante del pianeta terra, Gregory Peck. La storia è ambientata in una clinica per disturbi mentali dove vengono infrante tutte le regole di un set psicanalitico: non vi è rapporto economico, non c’è periodicità, c’è una relazione affettiva conclamata tra medico e paziente; tutto sembra fondata apparentemente su un assurdo logico e cioè che per far guarire davvero un ammalato bisogna innamorarsi di lui, o che per fare lo psicanalista bisogna provare empatia per il paziente, o che l’amore guarisce da ogni male e trauma, boh non ho ben capito.

Si gioca tutto fuori dalle regole mediche, istituzionali e logiche, ma la dottoressa Peterson (I. Bergman) ci viene in soccorso: “Il cuore vede più lontano...”. È un film sulla psicanalisi che ne denuncia già i limiti, ricordo che siamo nel 1945; insomma una straordinaria fiaba psicanalitica, resa efficacissima dalle immagini dei sogni realizzate da Salvador Dalì e con almeno un paio di scene memorabili: quella della scala, quando Ingrid Bergman, sta per ritirarsi in camera sua ma una luce, quasi metafisica, che filtra da sotto la porta del malato Gregory Peck, la attrae come una forza trascendentale; e poi nella stanza avviene il bacio più bello della storia del cinema, dove gli amanti percepiscono infinite porte che si aprono dentro di loro, fino al Paradiso.

Annoto anche una delle battute più belle di sempre: il malato Peck chiede alla dottoressa Bergman: “Mi amerai ancora quando sarò normale?”. Forse a causa della tonsillite o per la perfida bravura di Hitch, quella notte ho sognato che ero molto malato e volevo essere curato dalla dottoressa Bergman. Quando mi sono svegliato al mattino la mamma mi ha misurato la febbre che purtroppo era arrivata a 39, ma anziché la dottoressa, una supposta di tachipirina a provveduto alla mia guarigione e a rispedirmi a scuola il giorno dopo.