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La smaritana @Webphoto
Devo ammettere che non avevo mai visto il film di Kim Ki-duk e che sono rimasto folgorato da questa tragedia in tre atti. Ammetto pure che mi sono ritrovato in pieno con la recensione di questa stessa rivista a firma di Valerio Sammarco e basterebbe ricercarla sul sito di Cinematografo per trovare i toni giusti, equilibrati e pertinenti che fanno risaltare la carica poetica di questa storia geograficamente lontana, ma umanamente vicina, direi contemporanea nel tempo. A venti anni dalla sua uscita in Italia, e a ventuno dal premio alla Migliore regia alla Berlinale, La samaritana continua a conservare quella sua energia di “parabola sull’innocenza perduta” e sulla “corruzione del mondo contemporaneo”. È una storia di famiglia e di amicizia, fortemente raffigurata in quell’affaccio sulla piscina piena di foglie, della famiglia di statue bronzee seduta al bordo alto della vasca a cui si affiancano le due adolescenti protagoniste. Yae-jin, senza la madre, uccisa tragicamente, ma con un padre attento e animalescamente “protettivo”; e Jae-young, con una famiglia sconosciuta che non si rende presente neanche al momento in cui si consuma la sua tragedia. La ragazza non li vuole al suo capezzale di morte perché non ha trovato mai in loro alcuna manifestazione di tenerezza né di importanza riconosciuta alla sua persona.
La samaritana è un film carico di immagini allegoriche, di metafore. È un film autunnale, pieno di foglie appassite che coprono strade, auto, fonti, viali, sentieri… Foglie morte come simbolo di relazioni corrotte, sbagliate, da redimere in modo disarmonico, prostituendosi e donando momenti di piacere come “Vasumitra”, la monaca che convertiva gli uomini al buddismo offrendo il proprio corpo come strumento di felicità. È la vocazione che sente Jae-young, la cui vitalità e sorriso, privi di ogni malizia, contrastano con la passione spenta e frettolosa di uomini molto più grandi che approfittano della sua ingenua disponibilità. Sta qui forse il bisogno di colmare l’affetto e la tenerezza a lei negati nelle relazioni consanguinee, ma che vive intensamente con la sua amica Yae-jin. Lei vorrebbe che smettesse con questa vita. Sa che quella di Jae-young è una vocazione rischiosa perché l’amore sinceramente donato rileva sì la soddisfazione della persona che incontra, ma è pur sempre quella effimera di un cliente. Perciò le lunghe sessioni di pulizia nei bagni pubblici, per togliere quella lordura che la piccola prostituta non ritiene sporcizia e che invece l’amica sente di dover lavare con attenta cura. Insieme alle foglie secche, l’acqua è un altro tropo in questo film. Getti d’acqua per pulire l’amore mercenario (o gli schizzi di sangue causati dalla violenza).


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Yae-jin ama la sua amica al punto da rendersi complice di un gioco molto pericoloso. Un amore compassionevole, “samaritano”, che si carica fisicamente del corpo mortalmente ferito dell’amica per portarlo in un luogo dove può essere curato. In questo senso è da intendere il titolo del film i cui segni del cristianesimo sono presenti nelle immagini e nei racconti “straordinari e miracolosi” di Yeong-ki, il padre poliziotto della protagonista, come la storia del crocifisso di Avignone dal braccio mancante che diventa un germoglio, o delle tre ragazze italiane che hanno visto la Madonna e ricevuto la profezia della fine del mondo, o infine dell’amore compassionevole e taumaturgico di madre Teresa che guarisce tendendo le braccia e con la preghiera. La disperazione per la morte dell’amica, ripresa in quella potente inquadratura da tatami come nei film di Yasujiro Ozu, introduce la decisione di riacquistare la serenità, già messa a prova dalla morte violenta della madre l’anno prima, sostituendosi a “Vasumitra” per ridare indietro la gioia dell’amplesso e i soldi che i clienti avevano loro corrisposto negli incontri precedenti. È l’unico modo di dare senso alla perdita di Jae-young. Siamo nel secondo atto della tragedia, quello in cui prendono protagonismo “Samaria” (la samaritana) e suo padre il quale, accorso nel quartiere della prostituzione di Seul per lavoro, scopre la doppia vita della figlia dalla finestra di fronte. Anche le finestre diventano metafora. Finestre che marcano la verità della vita nascosta della figlia e allo stesso tempo cornici che segnano il margine di una comunicazione scarsa e rinsecchita come le foglie. La compassione della ragazza non può mai essere compresa da un padre che vede l’evidenza di una figlia resa oggetto dalla passione di altri uomini, padri e mariti anche loro, che abusano di piccole donne ancora fragili. Per essi prova il disprezzo che causerà l’escalation di vergogna (la scena del suicidio del padre schiaffeggiato davanti alla famiglia riunita a tavola) e indurrà persino a uccidere (l’uomo finito a colpi di mattone nel bagno pubblico). Yeong-ki vorrebbe vendicare l’obbrobrio che ha spento le sue energie vitali, “lavare” il disonore con la fine della sua vita e di quella della figlia.


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Qui il terzo tempo della tragedia. La fuga da Seul con l’intenzione di visitare la tomba della moglie/madre e condividere con lei il pasto ambiguo… e vomitato. Le nuvole cariche di acqua minacciano il viaggio silenzioso che si conclude in un pianto liberatorio carico della consapevolezza che i segreti di padre e figlia si sono ormai svelati senza proferire parola, grazie alla compassione. Ora ho le idee chiare. Yae-jin, se qualche pensiero ti inquieta, allontanalo. L’incubo premonitore, e liberatorio allo stesso tempo, in cui Yae-jin si vede uccisa e sotterrata sul greto del fiume è reso lieve e tenero dalle note della “Sonata” con cui il padre la destava ogni mattina. Note che la risvegliano dall’incubo e dai cattivi pensieri. Ora vai da sola. Papà non ti seguirà più. In quel tracciato giallo che è la vita, in cui impantanarsi, Yae-jin trova la forza di una piccola donna diventata adulta in fretta.
Kim Ki-duk ritrae un affresco moderno e vitale, tessuto da dialoghi scarni ed essenziali, da sguardi e silenzi che comunicano più delle parole. Sensi di colpa e paure che emergono dalle distorsioni dell’amore e dai malesseri del mondo contemporaneo.