Quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia, tra una proiezione e una conferenza, ci poteva essere una sorpresa. Legando la bicicletta vicino all’Excelsior, alcuni fortunati hanno trovato, attaccato al manubrio, un piccolo pezzo di legno con sopra l’immagine di E. T., l’extraterrestre protagonista del capolavoro di Spielberg. Gli artigiani erano i responsabili della Fondazione Culturale Carlo Rambaldi, che al Lido hanno proposto un’esperienza immersiva di quindici minuti dal titolo Alien Perspective. Era un viaggio tra architetture futuristiche, città metafisiche e paesaggi cosmici. L’occasione è stato il centenario dalla nascita di Carlo Rambaldi (nato a Vigarano Mainarda il 15 settembre 1925, scomparso il 10 settembre 2012 a Lamezia Terme).

Maestro degli effetti speciali, gigante dell’inventiva, ha vinto tre Oscar (migliori effetti speciali per Alien e Incontri ravvicinati del terzo tipo, Oscar Special Achievement Award per King Kong), e segnato un prima e un dopo nel mondo del grande schermo. Il suo era un tocco unico, legato alla capacità di sognare, di portare la fantasia, anche l’incubo, nella realtà. In un’epoca dominata dai computer, dall’IA, dai VFX all’avanguardia che da zero possono creare universi, Rambaldi è stato un faro. Si sporcava le mani, si destreggiava tra calchi e gessi, trasportava in altre dimensioni con il piglio di uno scultore che prestava il suo talento alla macchina da presa.

E.T. L'extraterrestre - WEBHOTO
E.T. L'extraterrestre - WEBHOTO

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Negli anni Cinquanta era già all’opera, costruiva draghi di sedici metri (Sigfrido di Giacomo Gentiloni, da noi non si era mai visto nulla di simile), mentre in molti dovevano ancora capire gli smottamenti del nostro Paese. Avrebbe poi preso parte a decine di film, tra plagi (Le avventure di Pinocchio di Comencini) e collaborazioni non accreditate. In Profondo rosso ci mette lo zampino, salva anche Fulci da una condanna in tribunale dimostrando che il corpo massacrato del cane di Una lucertola con la pelle di donna lo aveva in realtà ideato lui. È stato un pioniere della meccatronica, così all’avanguardia da essere chiamato dalla polizia per studiare la caduta dalla finestra di Pinelli (il manichino era suo).

Rambaldi era un predestinato, Hollywood lo avrebbe accolto presto. Per King Kong (quello del 1976, di Guillermin) ha realizzato una bestia di dodici metri, poi sul set scarsamente utilizzata, ma di grande impatto. In ogni caso, il braccio meccanico di Kong che ghermisce e culla Jessica Lange è suo. A unirsi erano brivido e tenerezza, forza e sentimento. Sono le stesse emozioni che hanno portato Rambaldi verso E.T – L’extraterrestre. Spielberg gli commissiona “una cosa brutta, ma innocente”. Lui risponde con una delle creature più riuscite di sempre. E.T. è goffo, misterioso, empatico, è impossibile non esserne attratti. Suscita tenerezza, con il collo allungabile, il lenzuolo sulla testa come se fosse un trovatello, quelle dita che accarezzano altre galassie. E.T. è la chiave di volta, la misura che determina l’estro di Rambaldi.

Incontri ravvicinati del terzo tipo rappresenta la prova generale, un primo modello spielberghiano poi totalizzante con E.T. Il film del 1982 è l’altra faccia della medaglia rispetto ad Alien: simbolo dell’istinto predatore, di una sessualità selvaggia, di un terrore che prende forma in un luogo dove nessuno può sentirti urlare.

Rambaldi era attratto dall’ignoto, dallo scontro tra ordine e caos (non è forse il principio regolatore di Possession di Żuławski?) da una ricerca mai scontata dell’impossibile. Con la sua opera ha sfiorato il trascendente, si è proiettato verso l’infinito, e ha mostrato le stelle a tutti quegli spettatori a cui non bastano le sfumature codificate della società.