La 76ma edizione del Festival di Cannes partirà ufficialmente domani, 16 maggio, con la premiere mondiale di Jeanne du Barry di Maïwenn, anche protagonista del film al fianco di Johnny Depp, nei panni di re Luigi XV.

Che sulla Croisette si sia tornati ad un clima di "normalità" dopo la pandemia (edizione saltata nel 2020, posticipata a luglio nel 2021, regolarmente a maggio nel 2022 ma con il "consiglio" di indossare sempre la mascherina in sala) lo dimostra non solo l'evidente ritorno in massa degli addetti ai lavori (questa mattina, a titolo di cronaca, per imbarcarsi sul bus che dall'aeroporto di Nizza porta a Cannes è stata un'avventura tragicomica paragonabile quasi a quella dei malcapitati vacanzieri del "Savoia-Marchetti 1915 in tela cerata": chi sa sa, chi non sa cerchi) ma anche l'esplosione preventiva di polemiche che, come da tradizione, accompagnano qualsiasi grande Festival che si rispetti.

Le problematiche relative al ticketing per assicurarsi i posti in sala (altro regalo che ci ha fatto il Covid per evitare l'ammassamento coatto in code interminabili, code a dire il vero che qui a Cannes ci sono state anche con l'introduzione del ticketing online e che, a buon diritto, ci saranno eccome anche quest'anno) non svaniscono del tutto, ci mancherebbe (di fatto la famigerata gerarchia dei colori dei badge incide sulla priority di accaparramento posto, risultato? Chi una volta con un dato colore entrava senza problemi in sala, oggi resta fuori da proiezioni "per la stampa" come quella di Indiana Jones e il quadrante del destino, l'unica prevista oltre a quella "ufficiale" della sera prima), e a riconoscerlo è lo stesso delegato generale Thierry Frémaux, che ammette "possiamo fare meglio", ma sottolinea che quest'anno "il Festival ha dovuto dire di no a qualcosa come 10.000 richieste di ulteriori accrediti".

Un numero spaventoso, non sappiamo quanto arrotondato per eccesso, ma che certifica l'impossibilità di garantire ai fortunati presenti la compresenza in sala per ogni singola proiezione. Argomento questo che comunque, come sempre, caratterizza la vigilia e i primissimi giorni di Festival, dopodiché la routine fagocitante della bolla in cui saremo immersi ci porterà a dimenticare e a vedere quel che sarà possibile vedere, scoprendo magari film bellissimi lontani dal Concorso che altrimenti non avremmo avuto modo di scoprire.

Le polemiche però, quelle "vere" diciamo, a cui Frémaux ha dovuto far fronte oggi pomeriggio in un incontro con la stampa accreditata, sono ben altre. E partono dalle recenti dichiarazioni di Adèle Haenel, attrice che nel 2019 era in concorso sulla Croisette con Ritratto di una giovane in fiamme di Céline Sciamma, rilasciate in una lettera aperta a Télérama, dove di fatto annunciava il suo ritiro dal cinema, come "atto politico per denunciare la generale indulgenza del settore nei confronti degli aggressori sessuali e il modo in cui questo ambiente collabori con l'ordine mortale, ecocida, razzista del mondo così com'è".

Anni fa, la stessa Haenel si scagliò contro il premio César assegnato a Roman Polanski per la regia di L'ufficiale e la spia. Tornando a Cannes, e alla presenza in apertura della star Johnny Depp, che nei mesi scorsi è stato protagonista del celebre processo per "violenze domestiche" ai danni della ex moglie Amber Heard, Frémaux spiega: "Nella mia vita ho una sola regola ed è quella che salvaguarda la libertà di pensiero, di parola e di azione all'interno di un quadro legale. Se Johnny Depp fosse stato bandito dalla recitazione in un film, o il film fosse stato bandito, non saremmo qui a parlarne. Questa controversia è emersa una volta che il film è stato annunciato a Cannes semplicemente perché tutti sapevano che Depp aveva girato un film in Francia. Non so perché l'abbia scelto, ma è una cosa che dovreste chiedere a Maïwenn (regista che qualche mese fa è stata denunciata dal caporedattore di Mediapart per aggressione in un ristorante, ndr)".

Maiwenn e Johnny Depp in Jeanne du Barry
Maiwenn e Johnny Depp in Jeanne du Barry

Maiwenn e Johnny Depp in Jeanne du Barry 

Fatto sta, però, che né il nuovo film di Roman Polanski (The Palace) né quello di Woody Allen (Coup de chance, un poliziesco girato a Parigi) sono stati selezionati per questa edizione del Festival: "Quello di Polanski non l'abbiamo visto, quello di Allen l'ho visto senza vederlo", disse qualche tempo fa lo stesso Frémaux, motivandone così l'esclusione: "Se il suo film venisse proiettato a Cannes, la polemica prenderebbe il sopravvento sia contro il suo film sia contro tutti gli altri film selezionati".

Assenza di registi "problematici" compensata però da film - diretti da due donne (due Catherine...) - che qualche polemicuccia se la portano dietro: in primis Le retour di Catherine Corsini, annunciato in gara solamente dopo qualche giorno rispetto alla conferenza ufficiale che svelava il programma del Festival (l'accusa ipotizzerebbe "molestie" a danni di attori minorenni "costretti" a recitare una scena di masturbazione "inizialmente non prevista", la difesa - la produzione del film e la stessa Corsini - negano che le cose siano andate effettivamente così), poi L'éte dernier di Catherine Breillat, che farà sicuramente parlare di sé per l'argomento che tratta: un'affermata avvocata che inizia una relazione clandestina con il figliastro 17enne.

Speriamo che l'effigie dell'altra, divina Catherine (Deneuve) che sovrasta il Palais ci protegga.

E che il cinema italiano (“non protetto dal suo governo”, dice ancora Frémaux) in gara con Marco Bellocchio (Rapito), Nanni Moretti (Il sol dell’avvenire) e Alice Rohrwacher (La chimera) riesca a far sventolare con forza la bandiera.