Potrebbe sembrare quasi un film di Ken Loach, nel suo essere un atto d’accusa al sistema capitalistico e nel ritrarre la classe operaia emergente. Se non che l’universo britannico è ben lontano dal mondo raccontato nel film di Manesh Narayanan.

Siamo in India, per la precisione in una fabbrica di guanti medici vicino New Delhi. Lì vi lavorano Hareesh (Kunchacko Boban, che ha anche coprodotto il film) e Reshmi (Divya Prabha), una coppia di emigrati dal Kerala. Entrambi però desiderano fuggire all’estero per avere una vita migliore.

In pieno Covid mascherine e lockdown sono all’ordine del giorno. Ma i problemi sono ben altri: la scarsa qualità dei guanti di nitrile prodotti, e soprattutto un vecchio video che riemerge tra gli operai apre un vaso di Pandora mettendo a rischio il lavoro e soprattutto il matrimonio tra i due.

S’intitola Ariyippu (Declaration), è stato presentato allo scorso Festival di Locarno, e è il primo film in programma in concorso al Tertio Millennio Film Festival.

Nuovamente, come nei suoi film precedenti (vedi C U Soon), il regista si interessa al tema del precariato e della classe dei lavoratori migranti e continua a raccontare storie di persone ordinarie che si ritrovano in situazioni estremamente angoscianti.

Ariyippu (Declaration) è anche una riflessione sul matrimonio e sui rapporti tra uomo e donna (“Qualsiasi relazione tra due individui presenta una serie di fattori da considerare per poter mantenere il proprio status quo. Quando questa relazione è l’istituzione del matrimonio tra uomo e donna, le complessità socio-sessuali che emergono in una società patriarcale risultano nel costante monitoraggio di tutto quello che può essere considerato amorale e sbagliato”, dice il regista).

La vergogna e il senso di colpa, ma anche il perdono, sono i temi affrontati in questo film che denuncia un mondo fatto di catene di montaggio che coprono, come i guanti, la verità e soprattutto le cose umane. Più o meno le stesse Choses Humaines (2021) che Yvan Attal aveva raccontato nel suo adattamento di Karien Tuil portandoci nella zona grigia dello stupro. Questa volta l’argomento ultrasensibile è un video compromettente. La gogna social mediatica è presto fatta. Il dubbio è presto insinuato e la coppia vacilla. Assoluzione o colpevolezza? Verità o menzogna? Come dice il regista: “In parole povere, dove è possibile stabilire il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato? Tra ciò che è perdonabile e ciò che non lo è?”. Sicuramente all’epoca dei social i confini sono ancora più difficili da stabilire e il pericolo dei Sex Tape è davvero enorme.

Il film di Narayanan, acclamato in patria soprattutto per il suo Take Off del 2017, si pone dunque a metà strada tra dramma familiare e sociale e colpisce soprattutto per le scene della fabbrica dei guanti.