A volte ritornano, e stavolta li aspettavamo. Nove anni dopo l’originale, capace di oltre un miliardo di dollari al box office globale nel 2016, ecco il sequel Zootropolis 2 (Zootopia 2).

Diretto dal team premiato con l’Oscar composto dal Disney Animation chief creative officer Jared Bush e Byron Howard, arriva nelle nostre sale il 26 novembre, colmando il vuoto colpevole cui sono stati costretti i piccini, nonché i grandi, devoti all’animazione, fantasma plurisettimanale dell’offerta cinematografica: un’assenza che dice molto dello stato dell’arte, e i magri risultati del botteghino – in Italia siamo per gli incassi al -5% sul 2024 e -9% sul 2023 – asseverano.

Comunque, ritroviamo gli agenti imberbi, ancorché pelosi, Judy Hopps, la prima coniglietta poliziotta, e Nick Wilde, la volpe ex lestofante, si trovano sulle tracce di un mistero che affonda nelle origini stesse di Zootropolis, allorché il serpente Gary De'Snake mette sottosopra la città animale. Per risolvere il caso, i due mammiferi si avventurano sotto copertura, e contro le stesse forze di polizia, per fare chiarezza, complici le coltri innevate, e giustizia: i serpenti meritano davvero lo stigma sociale di cui sono vittime, o – per dire di una specie a caso – le linci sono più adeguate alla gogna pubblica?

Tra le new entry dell’animazione antispecista meritano una menzione, oltre al Gary De'Snake teso a riabilitare il buon nome della sua famiglia rettile, la castorina podcaster (Squame e Trame del Mistero, vocato al suo quartiere Mercato Pantano) Nibbles Maplestick e ancor più il sindaco equino, meglio, stallone e bellimbusto, già attore, Brian Winddancer – medaglietta para-freudiana alla quokka (piccolo marsupiale australiano) Dottoressa Fuzzby, terapeuta animale.

L’assortito ensemble catalizzerà indagini, rinvenimenti, ritorni al futuro, ovvero il genere d’elezione - l’action adventure – del sequel lungo 108 minuti.

Sinossi e personaggi a parte – tranquilli, Flash il bradipo c’è, poco, ma c’è, e ruba la scena – com’è Zootropolis 2?

Per dirimere alla francese, pollice su per i dialoghi - alcune battute sono davvero geniali: “L’ironia è una reazione infantile a un trauma adulto”, o giù di lì – e pollice verso per la struttura narrativa, a partire dal soggetto: la trama è farraginosa, involuta, soprattutto nella origin story che oppone linci a serpenti, la quale necessità di iterati spiegoni e didascalismi per uno scioglimento che così fluido non è – non immaginiamo, anzi, sì le difficoltà per i più piccoli.

Peccato, è come se il designer d’interni avesse fatto bene, anche molto bene, mentre l’architetto se n’è uscito con un immobile pesante, perfino pedante. La sintesi stigmatizza il ricorso ai didascalismi, alle excusatio non petite, pure sulla relazione speciale tra Judy e Nick, e se le diagnosi sui problemi di coppia – elefante e topolino, eccetera - strappano una risata il discorso sulla diversità, invero da contenere, è posticcio e a tesi.

Da ultimo, Noè ci perdoni, un’osservazione sul serpente: Gary ce la mette tutta per farsi ben volere, ma rimane poeticamente creatura a sangue freddo, che poco acchiappa in platea. Epperò, per rimanere in Casa Topolino, vien la canaglia nostalgia per il Sir Bliss di Robin Hood (anno di grazia 1973).