Il preadolescente Matho (LaDainian Crazy Thunder) e il ventenne Bill (Jojo Bapteise Whiting) sono due giovani Oglala Lakota che vivono nella riserva di Pine Ridge, nel South Dakota. Non si conoscono, non ancora quanto meno, ma entrambi – ognuno a suo modo – cercano di sopravvivere in un mondo che non ha granché da offrirgli.

War Pony è l’esordio alla regia dell’attrice e modella statunitense Riley Keough (1989), con la producer Gina Gammel in co-regia, nonché autrice dello script insieme a Franklin Sioux Bob e Bill Reddy: con un pedinamento che non è mai maniera e uno sguardo che non è mai giudicante, il film ci mette da subito alla stessa altezza dei suoi protagonisti.

Kiley Reough - Image Credit Felix Culpa
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Matho è rimasto fanciullo solo per un paio di aspetti, la cotta per la compagna di classe e un libro di magia che sfoglia prima di addormentarsi: per il resto deve fare i conti con un padre spacciatore che lo caccerà di casa quando scopre che il figlio gli ha rubato il meth per alzare qualche soldo con i compari.

Bill ha già due figli, che vede quando capita, avuti con due compagne differenti: una non lo vuole più vedere, l’altra lo tampina al telefono per dirgli di pagare la cauzione e farla uscire di galera. La svolta, secondo Bill, arriverà grazie alla sua intuizione di acquistare una femmina di poodle (il barbone da noi) così da rivendersi poi i cuccioli.

Retaggio naturalista, personaggi che non smetti mai di considerare persone, in un certo senso spogliati di qualsiasi artificio poetico (cifra che per certi versi ricorda il cinema del nostro Jonas Carpignano), War Pony nasce come insieme di storie che i due coautori della sceneggiatura, Franklin Sioux Bob e Bill Reddy, hanno raccontato a Riley Keough durante la lavorazione di American Honey, film diretto da Andrea Arnold (Premio della Giuria a Cannes 2016) in cui la Keough recitava e i due erano presenti come comparse.

 

La “verità” ovviamente si adagia alle esigenze di una narrazione che non è esente da lungaggini e situazioni forse eccessive, resta però indubbia la bontà di un esordio – in gara nella sezione Un Certain Regard al 75° Festival di Cannes – che attraverso il filtro di una visione parallela (e quel bisonte che, a turno, comparirà di fronte agli occhi dei due ragazzi è lì a tenerli legati alle proprie origini) ragiona con sincerità sul concetto di “riserva” ancora in essere.

Un luogo dal quale sembra impossibile fuggire (si pensi a come termina la fuga notturna sull’auto rubata dei ragazzini) e nel quale – dal mondo esterno – arrivano solamente gli scarti di un’illusione a buon mercato (la droga, i traffici illeciti, la figura del ricco bianco con tenuta gigantesca e allevamento di tacchini, che sfrutta il bisogno di denaro di Bill offrendogli un lavoro “di facciata”, quando in realtà lo utilizza come autista per portare e riportare le native con cui va a letto).

Al netto di tutto questo, infine, il film “è” i suoi attori: dai due magnifici protagonisti a tutto il corollario di comprimari, dai più giovani ai più anziani, War Pony è abitato da figure difficili da dimenticare, vive, capaci di esistere in ogni singola inquadratura.