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Tutto quello che resta di te
Il racconto delle vicende di una famiglia è da sempre uno dei modi più efficaci per restituire la complessità della grande storia, dal contesto geopolitico in cui avvengono gli eventi alle contingenze pubbliche che fanno da cornice agli eventi privati. E un film come Tutto quello che resta di te ha il merito di riempire un vuoto: una narrazione che inquadra la storia di una terra, la Palestina, attraverso gli occhi di tre generazioni di una famiglia sradicata, costantemente in lotta per difendere dignità e identità.
Cherien Dabis, autrice palestinese-americana, figlia di un rifugiato palestinese e cresciuta tra il Medio Oriente e il Midwest, parte da un momento preciso, nel 1988, poco prima che un adolescente palestinese venga ferito dai soldati israeliani durante una protesta in Cisgiordania. E si affida alla voce di sua madre che, rivolgendosi direttamente al pubblico, racconta i quarant’anni che precedono quel passaggio fatidico, partendo dal 1948, anno in cui le organizzazioni paramilitari sioniste espulsero più di 700.000 palestinesi dalle loro case, fino alla prima intifada sviluppatasi proprio nel dicembre 1987 nei territori occupati da Israele nel 1967.


Tutto quello che resta di te
Nei giorni segnati dal genocidio del popolo palestinese, Tutto quello che resta di te testimonia la persistenza di una tragedia che dura da ottant’anni, concentrandosi sugli effetti collaterali di un trauma che riflette il collettivo nel personale. Lo fa con un respiro da romanzo popolare (due ore e mezza che però, per spirito e andamento, rivendicano il diritto di cittadinanza cinematografica e non l’adesione al formato seriale), forte di una coralità che trasmette calore sentimentale e consapevolezza politica, in cui la rappresentazione degli israeliani non è immune da alcuni schematismi manichei.
Tuttavia, l’obiettivo di Dabis, un’umanista che interroga il proprio rapporto con le radici non solo territoriali ma anche culturali (il riconoscimento della ferita storica, la ciclicità della violenza, la convivenza con il dolore, la resistenza di una traccia umoristica), non è condannare chi ha sistematicamente attutato operazioni militari per cancellare una presenza e quelli che hanno chiuso gli occhi di fronte alle aggressioni.


Tutto quello che resta di te
L’intenzione è di restituire un affresco più intimo ed empatico, limpido nelle forme e tradizionale negli esiti, che non rinuncia a momenti melodrammatici da epica popolare (la linea di trama incentrata sul trapianto di cuore) per offrire al mondo fuori un film largo e appassionato.
Designato dalla Giordania per la corsa all’Oscar al miglior film internazionale, vede tra i produttori esecutivi anche Javier Bardem e Mark Ruffalo.