“È meraviglioso… È meraviglioso…”.

Dove eravamo rimasti? Ah sì, giusto, il presidente Business era stato sconfitto ma all’orizzonte una nuova minaccia incombeva sui cittadini di Bricksburg, che da poco avevano trovato in maniera del tutto inaspettata il loro leader carismatico nel “pupazzetto” medio per eccellenza, Emmet: da un pianeta lontano, con intenzioni non troppo cristalline, ecco arrivare i temibili Lego Duplo.

Emmet costruisce in fretta e in furia un cuore di benvenuto, ma il presente viene divorato senza troppi fronzoli. Attirati da tutto ciò che luccica, i “mattoncioni” alieni distruggono ogni nuova costruzione, ogni edificio, qualsiasi cosa.

Per sopravvivere, l’unico rimedio è smettere di ricostruire, rimanendo tra le macerie polverose. Il nuovo avamposto prende il nome di Apocalypseburg, tutti sono diventati più grintosi e tenaci, più guardinghi. Tutti tranne Emmet, l’unico a cui come sempre sembra scivolare addosso.

Ma sarà chiamato ancora una volta a trasformarsi in eroe, quando l’amata Lucy e i suoi migliori amici (tra i quali Batman e Barbacciaio) vengono catturati per essere condotti al cospetto della regina DUPLO “Quello che voglio”, capace di assumere qualsiasi sembianza nel giro di un nanosecondo.

Con la stessa fresca irriverenza e libertà del precedente capitolo (The Lego Movie, 2014, quasi 470 milioni di dollari al box office internazionale) prende vita questa nuova avventura: Phil Lord e Christopher Miller restano nel team autoriale e produttivo, in regia c’è Mike Mitchell. La natura dell’operazione rimane come detto invariata, il viaggio spaziale dei protagonisti è ancora una volta il pretesto per un’immersione senza respiro in un vortice di musiche e riferimenti pop in grado di coinvolgere tanto gli adulti quanto gli spettatori più piccini.

Dalle ambientazioni à la Mad Max al viaggio intergalattico stile 2001: Odissea nello spazio passando per musichette originali divertenti e martellanti (“La canzone che ti resta in testa, la canzone che ti resta in testa...”), l’obiettivo del film - che si produce anche in ardite derive con doppelganger e viaggi cari a Back to the Future - è quello di raggiungere (e fuggire da) questo fantomatico “Sistema sorellare” dove, a quanto pare, la guerra tra il mondo Lego e il mondo Duplo (tutto cuori e glitter, cure di bellezza e altro) vedrà la sua ultima battaglia, con la fine dei giochi (l’Armammageddon – “Our mama get on”) dietro l’angolo.

E l’upgrade rispetto al precedente capitolo (che rimane comunque irraggiungibile per la sorpresa dello switch nel sottofinale) è proprio questo: se allora il messaggio era quello di lasciar campo libero all’immaginazione, di buttare il foglietto delle istruzioni e combattere con tutte le forze disponibili il “Kragle”, la colla con cui il presidente Business/il padre del ragazzino voleva fissare per sempre l’universo Lego, stavolta l’unico modo per evitare il “secchio dell’oblio” è quello di unire le forze, far coesistere i due universi, perché solamente costruendo insieme, anche partendo da punti di vista così lontani (come quelli tra fratello e sorella minore) sarà possibile garantire l’armonia.