Immagini di repertorio per un paesaggio immerso nel bianco della neve, in sottofondo le note che crescono costanti, in modo diametralmente opposto a quello che farebbe intuire invece il titolo della canzone, Skinny Love, proveniente dal cantautorato, nobile, di Bon Iver. È l'inizio della seconda prova da regista dell'enfant prodige Sarah Polley, canadese, indimenticabile interprete de Il Dolce Domani di Atom Egoyan, sorprendente con l'opera prima Away from Her (2006) con un'immensa Julie Christie.
Le parole della scrittrice e poetessa Margaret Atwood a delineare ciò che sarà bisogno morale, quasi tangibile - anche se vivrà vie di fuga continue per “avvicinarsi” all'evidenza -, del film e della Polley: è di difficile percezione ciò in cui siamo immersi nel momento in cui lo viviamo, questo il nocciolo del problema. I punti di vista, e di racconto, sono molteplici. E ognuno appartiene a quella verità che si cerca da sempre di delimitare. E che cerca di fare la Polley con Stories We Tell, presentato alle Giornate degli Autori. Storie che raccontiamo; e non poteva essere più giustificato il Noi, perché qui quello che si va a scomodare non è una storia tra le tante, ma proprio quella della stessa regista, e noi/essi sono il nugolo di personaggi che costellano la sua, vera, storia: fratelli, sorelle, amici, madre, padri... Famiglia di attori, e scrittori, con la madre, Diane, e il padre, Michael, conosciutisi a teatro, lei proveniente da una precedente relazione, da altri figli, da dolore che porta alla gioia di un nuovo amore. Ci vuole un bel coraggio, o meglio una così forte necessità di verità, e di fare pace con essa, e con coloro che le appartengono, per fare un film che è girato in forma documentaristica, domande e risposte ai protagonisti - la Famiglia -, il padre che in studio di registrazione legge la sua Verità scritta in terza persona, costellata da quella dei tanti altri; la Polley che compare regista/intervistatrice, rivelando che è anche finzione, montaggio, ricostruzione: quei filmati di repertorio, che sembrano così veri, sono altresì ricostruiti.
Eppoi la verità non è solo per chi c'era, in quel momento esatto in cui è stata vissuta? Giovane, eclettica, spiazzante, scava nella sua storia, con la volontà di aprire scatole, entrare nella Matrioska del sistema memoria, non prendendosi troppo sul serio -  e qui il difetto e allo stesso tempo l'esattezza del film, nel suo a(e)ccesso ambizioso -, giocando però molto seriamente, e con rispetto, sensibile, di chi c'era, non c'è più, e che ora è; percorrendo le possibili, esistenti vie, delle proprie vite. Per dare libera voce al proprio Demon Host, Demone Ospite, come ci ricorda di fare con il magico pezzo di Timber Timbre che si ascolta verso il finale. Una terza/prima persona che pone domande, qualche necessario dubbio, mai indifferenti al procedere delle quasi due ore di film, che alla sua conclusione riaffonda le mani nel flusso della memorie, riaprendo dubbi, e lasciando un'unica certezza: l'arte è verità.