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Uno sciopero a 5 stelle
Sceneggiatore di ben cinque sequel della serie Les Tuche (il remake italiano del primo film è il dimenticabile Poveri ma ricchi), Nessim Chikhaoui ha debuttato alla regia con un dramedy d’ispirazione autobiografia, Placés, che seguiva un educatore impegnato in una casa famiglia abitata da ragazzi con bisogni speciali. Alla seconda esperienza dietro la macchina da presa continua a concentrarsi su figure spesso ai margini del discorso, quasi rivendicando una sorta di “autonomia” rispetto alle commedie popolari che ha scritto facendosi le ossa nel settore.
A dire il vero, Uno sciopero a 5 stelle ha un po’ il look di quel filone, con la fotografia molto pulita di Jean-Marc Fabre e un certo ritmo nell’azione (olimpica la durata di poco superiore agli ottanta minuti), una confezione edulcorata che però non svilisce la forza narrativa della storia. Che offre uno spaccato della Francia macroniana attraverso le vicissitudini di una cameriera appena ingaggiata da un lussuoso hotel parigino: la solidarietà tra colleghe in difficoltà è l’antidoto per fronteggiare le pretese di una dirigenza che, nella miglior tradizione del capitalismo più feroce, si dimostra completamente disinteressata ai bisogni delle persone.
E l’impari conflitto tra le parti, l’una sulle barricate per difendere la dignità del lavoro e gli spazi del privato e l’altra trincerata oltre gli schermi e le cornette nonché armata di frasi concordate e formule burocratiche, esplode quando la misura è così colma da imporre alle lavoratrici di organizzare una sorta di contro-Settimana della Moda per dare visibilità alla protesta.
La consuetudine francese della rivolta dal basso contro le élite è lo strumento con cui Chikhaoui inquadra le tensioni sociali di un Paese e per emanazione dell’intero continente. Facile, sì, perché il mercato del lusso è un bersaglio facile, specialmente se l’hotel in questione è gestito da lontano, con i rapporti con il personale affidati a una lavoratrice che rischia di dimenticare da dove proviene pur di assecondare le richieste di una direzione cinica e indifferente. E facile, d’accordo, laddove subentra un certo approccio didascalico nel descrivere la vulnerabilità fisica delle cameriere, l’elenco delle rinunce imposte dalle troppe ore di servizio, la stessa protesta “a effetto”.
Però Uno sciopero a 5 stelle (un titolo italiano che gioca con le regole dell’hôtellerie ma prova anche a strizzare l’occhio a certi nostri populismi) ha il merito di costruire un’agguerrita commedia sociale che non si vergogna di essere pop, cesellando con gusto le figure delle protagoniste in bilico tra funzione e bozzetto (su tutte l’affaticata ma indomita Corinne Masiero).