L’amore al tempo della diplomazia. Invero, troppo amore. E’ il biopic Sergio, ovvero il brasiliano Sergio Vieira de Mello, già Alto Commissario della Nazioni Unite per i Diritti Umani, capace di dirimere le controversie più delicate in mezzo mondo, dalla Cambogia a Timor Est, dall’Indonesia all’Iraq, dove morirà, insieme ad altre ventuno persone, nell’attentato al quartiere generale dell’Onu a Baghdad ordito da al-Zarqawi il 19 agosto del 2003.

Era figo, per farla breve, Sergio, come tutti lo chiamavano: soft power in purezza, determinato e fascinoso, un incantatore di serpenti votato alla pace. E coraggioso, fino a portare il buon esempio a sprezzare il pericolo: per marcare l’alterità, e l’autonomia, delle Nazioni Unite dall’occupante americano, vorrà privarsi della guardia stelle e strisce a Baghdad, segnando de facto la propria fine.

Alla regia c’è Greg Barker, che a Sergio, pure con il medesimo titolo, ha già dedicato un documentario - anche questo su Netflix - nel 2009: vuoi per familiarità, vuoi per necessità, qui prende la tangente, sacrificando il diplomatico sull’altare dell’amore, per la bella collega argentina Carolina Larriera. Sergio è un più che buono, a tratti affettato e lezioso praeter neccessitatem, Wagner Moura, lei è Ana de Armas, già insieme nel dimenticabile Wasp Network di Olivier Assayas: qui non sortiscono risultato migliore, e non è questione di chimica quanto di sovradosaggio.

Come si possa fare di un diplomatico un amante, perché Sergio così è ritratto, rimane un mistero forse sondabile solo nella committenza Netflix, di certo la resa non è esplosiva, malgrado l’attentato dinamitardo: il biopic implode tra stucchevolezze e flashback – quelli sulla spiaggia a Rio sono da tribunale internazionale – e il povero Sergio agonizzante sotto le macerie se la batte, per darvi un’idea, col deplorevole precedente del World Trade Center (2006) di Oliver Stone. Non casualmente, quando Sergio/Moura è alla prese con il braccio destro Gil Loescher (Brian F. O’Byrne) o il "nemico" Paul Bremer (Bradley Whitford) si cambia passo.

Se Sergio Vieira de Mello merita, eccome, una conoscenza più diffusa, questo film non gli rende giustizia. Sfortunato l’eroe che ha bisogno di biopic. Di questi, almeno.