Cammelli sul terrazzo, statue di felini in ogni angolo, una matriarca con la benda su un occhio come Bette Davis ne L’anniversario, il narcisistico cameo del regista sotto forma di definizione dell’enigmistica. Tutto in Sabato, domenica e lunedì (disponibile su RaiPlay) sfida le aspettative del pubblico, irrompendo in un immaginario forse plasmato sull’infedele adattamento di Lina Wertmuller piuttosto che sulla commedia originaria, della quale non esiste una versione televisiva.

Oltre a essere un caposaldo della nostra cultura e un affetto stabile degli spettatori al di là delle generazioni, Eduardo De Filippo è un maestro; e dunque la sua opera si configura soprattutto come un testo aperto in cui fare irruzione e ricostruzione, uno spazio di riflessione e ripensamento per spingere la trasposizione oltre la restituzione accademica e tradizionale.

Al secondo appuntamento dopo Natale in casa Cupiello con la rilettura del nume tutelare d’ogni napoletano, Edoardo De Angelis sfodera i muscoli di una messinscena seduttiva e si pone in maniera sfacciatamente provocatoria traducendo e non tradendo. E il pubblico di RaiUno – perché questa è un’operazione pensata per la platea popolare – sembra non aver del tutto apprezzato.

Scritta nel 1959, Sabato, domenica e lunedì è la commedia di Eduardo più interessata a entrare nelle dinamiche e nelle contraddizioni del presente, osservando la crisi di una famiglia borghese all’alba del miracolo economico. È la storia di Peppino Priore, facoltoso commerciante di tessuti, che perde progressivamente il lume della ragione dacché la moglie Rosa gli appare respingente e riluttante. Regina del ragù, a cui dedica un’attenzione sacrale, Rosa ha invitato anche i vicini di casa al tradizionale pranzo della domenica: che la causa della gelosia di Peppino sia proprio in quell’esuberante ingegnere della porta accanto?

credits: Federico Vacca Massaro
credits: Federico Vacca Massaro
credits: Federico Vacca Massaro
credits: Federico Vacca Massaro

Stratificata e travolgente, la pièce sente l’aria del tempo e tira in ballo molti temi: vi troviamo la celebrazione di un rito tradizionale e il soffio di un vento contestatario, la convivenza de facto di tre generazioni e l’esplosione dei conflitti interni all’altezza di quello principale, lo scontro lento, feroce, lacerante tra marito e moglie.

In questo senso appare del tutto adeguato il tessuto musicale di Enzo Avitabile, tra sonorità tribali e suggestioni jazz, perché puntella la guerra domestica fatta di silenzi laconici, sguardi felini, frasi come fiammate. E c’è una componente animalesca evocata anche dalle trame dei costumi di Massimo Cantini Parrini: ogni personaggio è una bestia costretta a stare in uno spazio, la casa dei Priore, in cui si trova provvisoriamente in cattività, come il cammello sul terrazzo.

Più che nel precedente adattamento eduardiano, De Angelis si conferma tra i più intriganti autori dell’ultimo decennio: lettore attento e ponderato del testo (ne è anche sceneggiatore con Massimo Gaudioso), rigetta il realismo quanto il folklore e fa emergere la tragedia corrosiva e disgregante di un lessico famigliare affaticato. E la scenografia di Carmine Guarino funziona proprio nei termini di un assedio del modernismo come status socioeconomico, dell’esotismo lambito dai borghesi, del gusto pop filtrato da cinema e televisione.

Istrionico quanto basta, Sergio Castellitto esprime bene la nevrosi borghese e insieme a una Fabrizia Sacchi mai così valorizzata guida un cast che presenta qualche modifica non traumatica rispetto all’originale (lo genderswitch che trasforma in donna nonno Antonio, cioè la folgorante Nunzia Schiano, e il figlio Rocco Priore nella giovane Pietra, Liliana Bottone) e si avvale dell’ottima prestazione di Maria Rosaria Omaggio nei panni di un’acuta zia Memé.