Jitze (Stijn Koomen) è un ragazzo olandese, gamer professionista: se ne va per il mondo a partecipare a campionati di videogiochi: e chi lo ammazza?  Se alla console fa sfraceli, sono tutte vittorie di Pirro, anzi virtuali: una ragazza gli muore davanti agli occhi a Taipei, un braccio inizia a fargli male, una partita la perde. Ma incontra una bellissima escort, Min Min (Ke Huan-Ru, mozzafiato), si fa massaggiare il braccio, si fa toccare il cuore. Almeno, intuiamo, perché la sua espressione è un codice binario: zero e uno, dove l'uno sta per apatia.
Comunque, è lui il protagonista di R U There dell'olandese David Verbeek, in cartellone a Un Certain Regard per testimoniare, dopo Chatroom di Hideo Nakata, che non è una buona annata per il binomio reale-virtuale. Ovvio nelle premesse - quando Jitze prenderà, si fa per dire, coscienza del mondo oltre lo schermo? Presto, che strano! -, stordito oltre misura dall'abulia e dall'ignavia del suo eroe, R U There rischia di non avere una risposta di pubblico, e infatti leva il punto interrogativo: solo l'amore potrà dare una scintilla, ammesso che tenga, anzi che ci sia. Perché l'irresoluzione domina storia e racconto, senza farsi quella sospensione che apre all'interpretazione. Se il tentativo era contaminare virtuale (animazioni a riprodurre videogame e Second Life) e reale per trovare la terza dimensione, quella del film, Verbeek rimane dietro la macchina da presa come Jitze alla console: concentrato e sudato, ma a che pro?