Una via crucis, ecco cosa è diventata la costruzione della Tav Torino-Lione.
Una strada ferrata che dovrebbe attraversare una valle incontaminata per portare oltre all'alta velocità notevoli benefici alla popolazione, ma che al momento ha generato solo malcontento e violenza gratuita.
Gli abitanti non ci stanno allo scempio della valle, e da anni si battono perché tutto resti com'è. Le persone più disparate a opporsi l'una a fianco all'altra: anziani e giovani, insegnanti e infermieri, attivisti cattolici e madri di famiglia, non ultimo il sindaco preso tra l'incudine del desiderio di preservare il proprio territorio e il martello delle autorità superiori che gli ordinano di disperdere gli oppositori del progetto decidi a presidiare i cantieri giorno e notte. Gente comune insomma, dotata di quel buon senso popolare che fa subito pensare che gli abitanti della Val di Susa abbiano ragione da vendere.
E invece, chi sta davvero dalla parte della verità? Si potrebbe persino pensare all'inizio un po' tutti, però colpevolmente lo Stato da tempo si nega al dialogo avendo in aggiunta scelto le maniere forti.
Di fronte a una tale evidenza Gaglianone, partito forse per ascoltare i pro e i contro, ha finito per dare voce al solo fronte del no. E per sposarne totalmente le ragioni, il che non sarebbe di per sé male se la passione per l'argomento non lo avesse portato a ridurre al minimo la costruzione drammaturgica per privilegiare la testimonianza immediata.
A lungo andare le interviste, inserite quasi senza tagli, risultano faticose da seguire mentre un montaggio più serrato avrebbe aiutato a mettere in luce i vari nodi della questione. Una scelta da rispettare, che avvicina però Qui più a un reportage giornalistico che a un documentario drammaturgicamente compiuto.
Gaglianone ha molto da dire ed è un autore interessante, in questa occasione semplicemente è un po' fuori misura. O più probabilmente il suo terreno di elezione resta il cinema di finzione.