Nomadismo sui generis quello di Abbas Kiarostami. Gira in Iran, in Italia (Copia conforme), in Giappone (Qualcuno da amare), senza mai dare l'impressione di muoversi.
La mano è sempre la sua, le tasche quelle del produttore-amico (Marin Karmitz) e pure le location paiono ogni volta le stesse: gli interni- macchina divenuti, da qualche anno a questa parte, cifra stilistica del regista iraniano, tòpoi narrativi e luoghi dell'anima. Del resto, dice lui, “esiste un altro posto dove due generazioni distanti si dicono cose così intime senza nemmeno guardarsi in faccia”?
Rassegniamoci dunque a vedere nascere e morire storie nello spazio di un abitacolo. Dalle colline del Chianti a Tokyo, tutto accade se non di corsa (Kiarostami si prende tutto il tempo che reputa necessario) almeno in corsa: tre cuori (la prostituta, l'amante e il professore), quattro ruote e uno slow-motion affettivo, che passa in rassegna cocci di solitudine, trappole d'amore e sensi unici generazionali.
Un film che scivola via con stile cristallino, come un incidente sentimentale alla moviola. Morbido, frontale.
Spinto da un'inerzia poetica non sempre modulata sul ritmo del cuore. Come se al timone non ci fosse il maestro, ma il suo pilota automatico.