Sono cinquecento le famiglie che ancora vivono a Punta Sacra, l’ultimo triangolo di spazio abitabile alla foce del Tevere. All’Idroscalo di Ostia, dov’è morto Pasolini (“Ma non è morto qua, diglielo alla maestra”).

Una comunità che resiste a coloro che per quel posto hanno altri progetti, certo non corrispondenti a chi l’associa all’unica idea di casa possibile. Persone che resistono anche – soprattutto – agli stereotipi di chi, nel narrarne miti e riti, si accomoda nell’iconografia dei “cani sciolti”, dei “brutti sporchi e cattivi”.

 

Delle baracche di un tempo – e delle storie che vi abita(va)no – c’è il ricordo impresso nella memoria, negli album delle foto conservate da chi è rimasto dopo il grande smantellamento del 2010.

Passato, presente e futuro si mischiano nel tempo unico di Punta Sacra, in concorso nella sezione ufficiale di Visions du Réel. Corale umanissima alla periferia della metropoli che Francesca Mazzoleni documenta attraversando il Natale e il Carnevale, tra l’autunno e la primavera. Quasi un controcanto del Sacro GRA di Gianfranco Rosi ma con un coefficiente emotivo più intenso a il discorso etnografico.

Mazzoleni si cala nel quotidiano della comunità, ne riprende la vivacità delle discussioni e i confronti privati, svela sogni e frustrazioni.

Punta sacra di Francesca Mazzoleni

E sembra voler restituirne anzitutto l’autenticità, senza gli slittamenti grotteschi dei capolavori della nostra commedia (il citato Ettore Scola ma anche Lo scopone scientifico) né le idealizzazioni post-pasoliniane.

PPP aleggia, naturalmente. Nume tutelare per coloro che ne riconoscono intuizioni e sensibilità ma anche contestato da chi non ci sta a essere ridotto a quell’ormai antica versione. Ma non c’è mai una vera polemica, né si finisce per intellettualizzare il tema indicando soluzioni o condannando brutture.

Come altre osservazioni ravvicinate (pensiamo a Il principe di Ostia Bronx), Punta sacra è il vivido spaccato di una umanità che non si compiace del proprio vivere oggettivamente problematico. C’è chi combatte per un presidio sanitario e non finire a Ostia per comprare un farmaco. E c’è chi a partire dal dolore cerca di costruire una narrazione in forma musicale che possa essere specchio di una collettività.

E intanto si discute di politica (“La sinistra è morta, ma non i suoi valori”) mentre si fa politica. Le ragazze pensano ai primi amorazzi e il futuro è più di un’incognita come per tutti. Tra i tanti pezzi dell’affresco, è straordinario il dialogo tra la figlia decisa a fare la parrucchiera e la madre che la sprona a cercare una strada più ambiziosa.

Punta Sacra è anche una toccante testimonianza di donne coriacee e resilienti, praticamente dominanti in una società de facto matriarcale. Donne che costruiscono i presupposti per trasmettere ragione e sentimento, con la radio come trait d’union tra le battaglie di ieri e le sfide di domani.

 

Quello dell’ottima Mazzoleni è uno sguardo schietto ed empatico, privo di compiacimenti e ammiccamenti, limpidissimo. E, nel definire l’orizzonte specifico di un luogo eccezionale, finisce per raccontare un’umanità che travalica i confini.