Sulla carta era interessante l'idea di Juhn Jaihong: confezionare un film di denuncia sulla separazione tra Sud e Nord Corea come se fosse un prodotto d'intrattenimento. Peccato che al regista - un protetto di Kim-Ki-duk, qui in veste di produttore - manchi la qualità del sarto, e che il suo abito da sera intessuto dei materiali più vari - l'indignazione civile e la fantapolitica, la spy-story e il mélo, l'action e il torture-movie - finisca per rivelare troppe toppe.
Poongsan, in concorso, inizia con un mistero e finisce con un perché: al confine tra Seul e Pyongyang si gioca una guerra tutta attese e logoramento, combattuta dai servezi segreti e dagli agenti che trafficano e s'infiltrano da una parte all'altra. In questa terra di nessuno, una zona demilitarizzata, si muove anche un corriere muto e senza nome utilizzato per operazioni di prelievo e consegna dal Nord al Sud. L'uomo, una specie di automa con prestazioni da Rambo e il vizio del fumo, inizia a interessare alle spie di Seul, che vorrebbero arrestarlo e, perché no, convertirlo alla loro causa. Con un tranello lo coinvolgono allora in un'operazione dalle conseguenze inaspettate: prelevare una giovane donna della Repubblica Popolare e riportarla al suo vecchio amante, un ex dirigente del partito comunista del Nord passato nel frattempo dall'altra parte.
Fin qui fila tutto, il ritmo tiene, la curiosità resta alta e la banalità di regia passa in secondo piano. I problemi nascono quando Jaihong deve tirare le fila del discorso, ovvero sviluppare l'intreccio amoroso tra la donzella tratta in salvo e l'eroe che non favella - diventerà il tema forte - e mantenere vivo contemporanemanete l'interesse per le altre trame del film che, infittendosi e imbrogliandosi troppo, vengono chiuse con puntuale meccanicità. Come se non bastasse, Jaihong vuole lasciare nell'ambiguità e nel segreto la vera identità del protagonista che, come ormai abbiamo capito, funziona soprattutto da generatore testuale di metafore: il silenzio è la parola di chi ha deciso di non schierarsi,lo svuotamento è figlio delle continue violenze subite dall'una e dall'altra parte, la strumentalità un boomerang che si rivolgerà contro i suoi stessi utilizzatori. La ragione è comprensibile, ma l'effetto sconcertante, perché condannando il personaggio all'astrazione il processo d'identificazione paga dazio, non scatta, prezzo salatissimo per un'operazione che vorrebbe prima di tutto coinvolgere, emozionare, prendere allo stomaco. Invece, nonostante i colpi bassi della tortura e delle lacrime, della musica che s'alza, della coda melodrammatica, Poongsan si ferma alla superficie delle cose, ineluttabilmente epidermico come il suo protagonista. Di cui fino alla fine non sapremo molto, se non della fissazione per quelle sigarette sul cui pacchetto sta sì scritto il titolo del film, ma non l'avvertenza per il suo utilizzatore: nuoce gravemente a...