La vita è troppo breve per rimanere arrabbiati a lungo, soprattutto con la propria sorella, dice Jo (Saoirse Ronan) ad Amy (Florence Pugh) la mattina dopo aver scoperto che Amy ha bruciato il suo manoscritto incompleto.

Queste parole, farfugliate tra le lacrime, sono il segreto, il cuore pulsante di Piccole donne di Louisa May Alcott e del film di Greta Gerwig. La sorellanza. Un termine che non esisteva a quei tempi, metà Ottocento, e ha fatto la sua comparsa alla fine del Novecento, che la Alcott però aveva intuito, individuato come muro portante della sua vita e dei suoi romanzi. Quelli che l’avrebbero resa celebre.

Miss Alcott, che nell’immaginario di migliaia di persone, era una signora che beveva il tè e forse rammendava i propri vestiti, era invece fatta di tutt’altra pasta.

Eliza Scanlen in una scena del film
Eliza Scanlen in una scena del film
Eliza Scanlen in una scena del film
Eliza Scanlen in una scena del film

Femminista e antischiavista, seconda di quattro sorelle, figlia di un insegnante e di un’attivista e assistente sociale, cresciuta e impregnata dell’ambiente in cui viveva: il padre un trascendentale kantiano e i gli amici intellettuali, filosofi e scrittori, tra cui Henry David Thoreau e Nathaniel Hawthorne. Nessuna meraviglia quindi che Louisa avesse molte ambizioni, tra cui la letteratura.

Senza dimenticare l’indipendenza e la libertà individuale: Jo lo ripete più volte quando scopre che la maggiore Meg ha intenzione di sposarsi, di rompere quel cerchio dorato in cui le persone estranee (fatta eccezione per Laurie) non possono entrare. Perché ognuna di loro ha un dono da sviluppare: Meg (Emma Watson) vorrebbe recitare e Jo le promette che, se non le lascia, la aiuterà a realizzare i suoi sogni.

È l’unica delle March a contribuire con piccole somme al ménage familare, scrivendo racconti sotto pseudonimo, come faceva la stessa Alcott. Beth (Eliza Scanlen) suona il piano e Amy dipinge. Per una donna non basta il talento, dirà Amy con malinconia rancorosa a Laurie, bisogna possedere il genio per avere successo. Oppure sposare un uomo ricco.

Il film della Gerwig, oltre a essere uno dei migliori adattamenti cinematografici di un romanzo epocale, che ha formato, incantato milioni di bambine e ragazze, ha anche trovato una sua via per far risplendere la Alcott.

Emma Watson e Greta sul set del film
Emma Watson e Greta sul set del film
Emma Watson e Greta sul set del film
Emma Watson e Greta Gerwig sul set del film

Figura misteriosa, che da sempre abbiamo identificato con quella di Jo, la più ribelle, impetuosa, l’intellettuale, indomabile fino a un certo punto. Se infatti nella vita reale Louisa non si sposerà mai, l’alter ego troverà un compagno, il professore Bhaer (Louis Garrel). Non è proprio l’happy ending sperato segretamente da chi faceva il tifo per Jo, ma è la variazione del tema suggerita dall’editore nel film della Gerwig.

È andata davvero così? Pensiamo di sì, anche perché Jo scenderà a compromessi e lieto fine sarà, ma non cederà i diritti del suo libro. Piccoli dettagli (senza parlare dei costumi, bellissimi e le acconciature moderne….) rendono speciale questo Piccole donne, che non tradisce il testo originale e ha tanti assi nella manica, a incominciare da Saoirse Ronan, magnifica, totalizzante. Possiamo fantasticare che se la Alcott l’avesse conosciuta avrebbe pensato proprio a lei per la sua Jo.

Il cast è talmente ben assortito che bisogna riconoscere alla Gerwig molto di più che aver osato tradurre in immagini un libro quasi intoccabile ma di aver persino reso datato il primo adattamento di George Cukor, del 1933, con Katharine Hepburn.

Saoirse Ronan, Florence Pugh, Emma Watson in una scena di Piccole donne
Saoirse Ronan, Florence Pugh, Emma Watson in una scena di Piccole donne
Saoirse Ronan, Florence Pugh, Emma Watson in una scena di Piccole donne
Saoirse Ronan, Florence Pugh, Emma Watson in una scena di Piccole donne

La Jo della Gerwig è meno irruente, però forte e decisa, anche se piange quando taglia i lunghi capelli per dare i soldi alla madre. Qui è Amy ad accarezzarla e a confortarla, la più piccola, la più carina, la più gelosa: sempre seconda alla sua Jo. E Laurie, la controparte di Jo, il bambino rinchiuso nella grande villa, debole di salute, qui è vivace, deliziosamente sensuale e follemente innamorato. Se in Chiamami col tuo nome era bravissimo, in Piccole donne Timothée Chalamet è semplicemente perfetto.

Lo sono tutti: Laura Dern, madre di queste fantastiche creature, che si abbracciano in continuazione, che si tengono su reciprocamente, che si privano della colazione per i vicini poverissimi, che vivono con le poche cose a disposizione ben felici di essere una famiglia unita. E ancora, chi meglio di Meryl Streep, zia facoltosa, perfida e tirchissima, che all’ultimo momento sceglie Amy come dama di compagnia per visitare l’Europa, perché Jo è una causa persa? O Beth che suona come un angelo e come tale se ne andrà.

Sorprendente il montaggio (altro talento: Nick Houy, lo stesso di Lady Bird ma anche della serie The Night Of…) dell’adolescenza e la maturità, i viaggi nel tempo, i flashback meravigliosamente assortiti con la bella colonna sonora di Alexandre Desplat. Una regia superba.