Non ci si può aspettare niente di buono da Todd Solondz. Cinico, corrosivo, cattivo oltre ogni sopportazione, il regista americano ha costruito la sua ultradecennale carriera perseguendo come unico obiettivo la distruzione calcolata delle fondamenta americane: nel mirino di volta in volta ci sono finite l'istruzione (Fuga dalla scuola media), la famiglia (Happiness), l'infanzia (Palindromes), l'industria dello spettacolo (Storytelling). Orrore del quotidiano, algida ironia e piattezza calcolata della drammaturgia - contrappuntata come sempre dalla comicità dinamitarda dei dialoghi - le cifre del suo lavoro, tra i pochi nel panorama indie americano a sostenere ancora la covalenza dello shooting cinematografico: riprendere è, anche, sparare.
Più che poetica una missione, che trova compimento in Perdona e dimentica, ideale sequel di Happiness: dieci anni dopo ritroviamo alcuni dei suoi personaggi, ma con volti e situazioni decisamente cambiati. Torna Joy (Shirley Henderson ha sostituito nel frattempo Jane Adams), che ha spinto al suicidio l'ex fidanzato Andy (Paul Reubens) e si appresta a fare altrettanto con il marito "pervert" Allen (Michael Kenneth Williams, ovvero un attore di colore, mentre nel precedente film il ruolo apparteneva a Philip Seymour Hoffman); torna la sorella Trish (anche in questo caso Allison Janney al posto di Cynthia Stevenson), che prova a ricostruirsi una vita dopo l'arresto per pedofilia del marito Bill (Ciaran Hinds nel ruolo che fu di Dylan Baker); c'è anche Helen (Ally Sheedy, subentrata a Lara Flynn Boyle), sorella di Joy e Trish, scrittrice affermata e vittima del suo stesso successo. Ciascuno chiamato a fare i conti col proprio passato (Bill esce di prigione, i fantasmi di Joy fanno capolino nella vita della donna, che a sua volta irrompe in quella di Helen per un decisivo confronto) e ad accettare le piccole e grandi mostruosità di tutti, loro comprese.
Missione compiuta dicevamo, perché, lungi dall'essere l'onda lunga di un successo (Happiness è il film che ha consacrato Solondz a livello internazionale) questo Perdona e dimentica chiarisce definitivamente il senso del suo percorso: giungere, per vie decisamente tortuose, a una sincera comprensione di sè e degli altri.
Il perdono, quello che ossessivamente chiedono queste povere maschere della debolezza umana (universali, ecco perché gli interpreti possono cambiare, i ruoli no), è il grimaldello del riconoscimento identitario, la scoperta di essere "con e come" gli altri nelle sabbie mobili dell'ethos. Lo squarcio nel teatro della vita, così tragico e buffo e assurdo come solo Solondz (che scrive anche la dolcissima ballata che dà il titolo al film) sa mettere in scena, può essere richiuso. E il suo cinema, forse, intraprendere nuove strade alla ricerca di altre scabrose "felicità".