Parafrasando il titolo di quello che forse è il film più leggendario di Robert Aldrich, verrebbe da chiedersi: che fine ha fatto Clint Eastwood? Lo avevamo lasciato planare sulle ali dell’airbus 1549 della Us Airways, con Tom Hanks saldamente al comando e pronto a compiere il Miracolo sull’Hudson (Sully). L’America si aggrappava a un capitano “comune” per redimersi, a un eroe del popolo che doveva confrontarsi anche con la giustizia per evitare il carcere e guadagnarsi una medaglia.

Oggi Eastwood non smette di esaltare la bandiera a stelle e strisce, ma in Ore 15:17 – Attacco al treno il patriottismo diventa il vero protagonista e l'impeto si trasforma in comizio, come se fossimo nel centro di una campagna presidenziale. Repubblicano nell’anima, tra i pochi sostenitori di Trump a Hollywood, il vecchio Clint stavolta usa la macchina da presa per fare apertamente politica, dimenticandosi ahimè il buon cinema. Gira un film senz’anima, artificioso, che punta all’esaltazione dei valori più retrivi invece di ragionare sulla tragedia del terrorismo, veleno del nostro tempo e minaccia costante.

Il treno Thalys 9364 corre veloce sui binari tra Amsterdam e Parigi. Il marocchino Ayoub El-Khazzani apre il fuoco sui passeggeri con un kalashnikov, ma il fucile s‘inceppa e tre giovani americani in vacanza riescono a immobilizzarlo prima della strage. I loro nomi sono: Anthony Sadler, Alek Skarlatos e Spencer Stone, che in questa storia interpretano loro stessi, in una sorta di "neodocumentarismo" targato Clint Eastwood.

Il loro libro The 15:17 to Paris: The True Story Of A Terrorist, A Train And Three American Heroes, scritto col giornalista Jeffrey E. Stern, approda così sul grande schermo, per far sì che le loro gesta siano ancora più amplificate. Ma diventano un pretesto per giustificare la presenza dell’esercito Usa in tutto il mondo. Gli americani sono gli unici salvatori, i cani da guardia a cui anche l’Europa si deve inchinare, e non basta l’ironia di una guida turistica a Berlino per risollevare gli animi.

Il regista aveva dipinto la morte del suo Paese in Gran Torino, il funerale in American Sniper e la resurrezione in Sully. Qui va oltre, racconta addirittura di una sorta di predestinazione alla grandezza, che  dovrebbe spingere i giovani a essere nel posto giusto al momento giusto. Bambini di poco più di dieci anni parlano d'integrazione con i loro amici, si lamentano di una società respingente, e trovano la loro medicina nelle mimetiche e nelle armi. La guerra viene assolta in nome della religione, della necessità di perdonare il proprio nemico anche dopo averlo abbattuto. Si prega, con il rosario nella mano destra e un caricatore nella sinistra.

Inutile appellarsi a un capolavoro come Gli Spietati, ma Eastwood aveva già magnificamente raccontato la fanciullezza in Mystic River. Là non c’era nessuna falsa nostalgia, un rapimento rubava la felicità di una generazione, cancellava l’innocenza, sotterrando il sogno americano. Le lacrime scendevano calde sulla tomba degli ideali, anche se la redenzione era un’utopia. Lode agli eroi di Eastwood, sempre tormentati dal destino, che forse sognerebbero un’esistenza in stile Un uomo tranquillo. Ma l'aquila, che doveva raggiungere ben altre vette, rischia di non spiccare il volo.