Goriziano, di nobili origini ebraiche, di formazione classica, di ethos asburgico, di vocazione pre-esistenzialista. Pensatore, letterato, filosofo, poeta, bozzettista, pittore. Amante del mare e del fiume Isonzo. Non di Parmenide, Eraclito e Aristotele, ma di Socrate, Petrarca, Leopardi, Tolstoy, di Ibsen il prediletto.

Una produzione artistica sterminata – nel 1958, la prima pubblicazione collettanea delle sue Opere raduna scritti filosofici, letterari, memorialistica autobiografica, versi, epistolari, quadri e disegni – stroncata dalla morte prematura del 1910.  A ventitré anni Carlo Raimondo Michelstaedter, pistola in corpo, s’uccise. Un suicidio che non è cupio dissolvi, disperazione tragica, disimpegno e resa alla dolorosa indecifrabilità del vivere, ma “esuberanza di vita”. Coscienza dell’impossibilità di contemplare l’Assoluto. Cognizione della finitezza, dell’inevitabile tragicità della condizione umana.

Dopo Borges, Beethoven, Mahler, Manzoni, Collodi, Verdi, Leopardi, Dante, Baudelaire, Massimiliano Finazzer Flory confeziona un altro invito alla riscoperta di un artista illustre e inimitabile.

Regista, attore, drammaturgo, qui anche voce narrante, l’autore, nato a ventitré chilometri da Gorizia, mantiene il genere d’elezione (il documentario), il taglio monografico, il tono accorato e ammirato verso vita e opere del protagonista, la struttura dialogica, la consanguineità di ideali, l’impostazione sincretica, l’unità di luogo, la tensione all’esaustività che procede per aggregazioni e frammenti.

Ne esce fuori, nonostante la forma breve (il doc sfiora l’ora di durata), un mosaico a tutto tondo, tra privato e pubblico, tra pensiero e affetti, che funziona come un invito alla riscoperta di un giovane tormentato e vitalissimo, sempre in volo verso l’Assoluto.

Il titolo Nel tuo occhio, di fatti, tradisce la volontà di cancellare l’autorialità registica e immergersi dentro la psiche del protagonista, il contenuto, invece, la necessità, anzi l’urgenza di rimettere Michelstaedter al centro del dibattito culturale italiano, consegnando il suo profilo alla giovane generazione “che non ha ancora trovato Dio nella sua carriera”, lasciando, di conseguenza, esondare tutto il rammarico per una vita spentasi anzitempo.

 Tra il mare e il fiume, tra l’Italia e il confine sloveno, tra La persuasione e la Rettorica, tra la contingenza e l’ineffabile, la vita e la morte, il Tempo e l’Assoluto, l’Impero austroungarico e l’Italia, il Nichasteter di Finazzer Flory è il pensatore tra due mondi – il lascito della classicità in lui incontra la filosofia pessimistica e nicciana –che più d’ogni altra cosa “anticipa il suicidio dell’Europa con la Prima Guerra Mondiale e il destino dell’Occidente” spingendosi alla ricerca di “un superbo, infinito silenzio” che non può non esprimersi in “una morte libera”.