Difficile scorgere qualcosa che non abbia a che fare con mere faccende di business di fronte agli ormai infiniti live action della Disney.

Facile eppure sapiente operazione che fa incontrare l’usato sicuro (storie e personaggi già incastonati nei nostri immaginari) alla tipica tendenza alla meraviglia dello Studio (nella forma della sempre più raffinata contaminazione tra tradizione e CGI) in gloria del merchandising, ha in Mulan il suo frutto più maturo.

Non tanto perché il film sia particolarmente appassionante o riuscito, ma perché è un tentativo di non replicare pigramente l’originale animato al fine di inserire l’eroina e la sua avventura all’interno di un discorso più contemporaneo sul femminile.

 

Alla regia la neozelandese Niki Caro, già autrice di ritratti femminili moderatamente di rottura (La ragazza delle balene, North Country, La signora dello zoo di Varsavia), alla sceneggiatura, Rick Jaffa e Amanda Silver, esperti in revival di blockbuster (L’alba del pianeta delle scimmie, Jurassic World) chiamati a riscrivere il lavoro iniziale di Elizabeth Martin e Lauren Hynek.

Mulan

Sono due elementi fondamentali per capire la genesi di Mulan, che parte dal classico ma va altrove, eliminando gli aspetti più da commedia (gli antenati, il drago Mushu mal recepito dalla comunità cinese, i soldati resi meno “buffi”) e scegliendo un approccio più austero, forse legato maggiormente alla leggenda che sta all’origine del film. Con un cast coerente con la nazionalità dei personaggi, Mulan appare così il perfetto risultato di un’operazione volta a non scontentare nessuno.

Non scontenta la comunità cinese – ormai il pubblico più determinante del globo – che vede uno spettacolone probabilmente banale ma rispettoso dei costumi tradizionali. Non scontenta le ragazze, una volta tanto rappresentate come protagoniste di un action e non comprimarie. Anzi, c’è pure una cattiva, una strega che rielabora il falco Hayabusa interpretata dalla diva Gong Li.

 

Non scontenta chi cerca qualcosa che non sia la copia conforme dell’originale: a differenza di alcuni precedenti (La bella e la bestia, per esempio), non è così semplice sovrapporre le immagini del cartoon a quelle del film. Caro ha cercato di restituire al remake una qualche autonomia, dilettandosi più nei combattimenti wannabe wuxiapian che nell’apparato musical del tutto latitante.

Non scontenta la benemerita Disney, che si lava la coscienza dopo decenni di appropriazioni culturali, stereotipi superficiali e ipocrisie diffuse. Forse scontenta i più piccoli, perché a Mulan manca il cuore.