Dopo aver segnato gli ultimi anni di televisione con Succession, la storia di una famiglia di tycoon della televisione ispirata a Fox News, Jesse Armstrong alza l’asticella della propria ambizione con Mountainhead, un tv-movie prodotto e distribuito da HBO che arriva sui piccoli schermi italiani grazie a Sky.

L’area di interesse di Armstrong, regista, sceneggiatore e produttore del film, è più meno quella del suo lavoro più famoso, ossia i super ricchi e le loro battaglie per mantenere o accrescere la loro ricchezza, ma in questo caso sposta il contesto: i protagonisti infatti sono quattro multimiliardari della tecnologia (Steve Carell, Jason Schwartzman, Cory Michael Smith e Ramy Youssef) che passano un weekend nella casa in montagna di uno loro, mentre il mondo là fuori, come si suol dire, brucia tra proteste, rivolte e panico scatenato dai social media che gestiscono; nel mentre discutono, litigano, cercano di distruggersi a partire dal ruolo che le loro creazioni hanno nei tumulti che stanno scuotendo il paese.

Impianto teatrale, dialoghi più o meno affilati, attori in forma tra la complicità della rimpatriata e il gioco al massacro per raccontare come la nuova economia tecnologica sia fatta per dare una forma diversa alla realtà, perché la manipolazione dei datti, dei fatti e delle menti è il nuovo orizzonte della ricchezza e illimitata e del potere senza confini. Ci sono di mezzo anche le AI e i governi, ma soprattutto, lo scacchiere mondiale che non è altro che il palcoscenico dal quale fare in modo che la propria influenza, la propria necessità al potere, diventi inevitabile.

Armstrong chiuso tra quattro mura, benché lussuose e molto ampie, e soprattutto nella durata di una novantina di minuti si sente stretto, fatica a dare consistenza e passione drammatica alla scrittura, ma il vero limite di Mountainhead è la mancanza di graffio, la difficoltà a trovare una vera e propria presa su un reale che, in questo preciso momento della storia statunitense e di riflesso globale pare impossibile da afferrare. Benché scritto e girato nell’arco di pochissimi mesi, proprio per dare l’idea di istantanea sul mondo in cui viviamo, il film sembra sempre parlare di qualcosa di già accaduto, soprattutto di già elaborato altrove, ma senza la necessaria profondità per renderlo un passo avanti.

Armstrong pare sempre in affanno, a cercare l’affondo giusto, il tratto perfetto per dare forza ai personaggi, la battuta, lo scarto segnante (come nella svolta noir che pare un omaggio ai fratelli Coen), e nel frattempo il mondo lo ha già sorpassato, gesti e discorsi dei padroni della tecnologia o della politica fanno sembrare i protagonisti degli aspiranti Tycoon rispetto ai Musk, Zuckerberg, Altman e compagnia filo-trumpiana varia. Se avesse avuto dalla sua almeno la complessità Mountainhead, o la follia; invece così, sembra il tentativo di fare una battuta sferzante che si perde in un teatro dove accadono cose molto più significative.