"Sei felice?" - "Il più delle volte".

È un cammino accidentato quello di Monica (Trace Lysette), un presente di relazioni complicate (molteplici le telefonate a un fantomatico Jimmy, che non risponde mai), un passato con cui fare pace quando una chiamata inaspettata la riporta al cospetto dell'anziana madre, Eugenia (Patricia Clarkson), ormai prossima alla fine a causa di un brutto male.

"Negli ultimi anni, il confronto con la malattia di mia madre mi ha portato a riflettere sul mio passato e sugli effetti psicologici dell’abbandono. A partire da questa esperienza ho voluto raccontare una storia che esplorasse la complessità della dignità umana, le conseguenze profonde del rifiuto e le difficoltà nel guarire le proprie ferite".

Andrea Pallaoro torna in concorso a Venezia cinque anni dopo Hannah e lo fa ancora una volta pedinando gli stati d'animo di un personaggio femminile inquadrato in un momento spartiacque della propria esistenza: l'eponima Monica torna nella casa della propria infanzia e prima giovinezza, ritrova gli odori degli oggetti e i segreti di particolari che per gli altri, come la cognata interpretata da Emily Browning, sono cose da svelare mentre per lei riscoperte automatiche.

Pallaoro ritrova il formato quadrotto (uno sperimentale 1.2:1 con cui "esaltare il soggetto rispetto al paesaggio e fare in modo che due o più corpi nella stessa inquadratura venissero percepiti in un rapporto di co-dipendenza e di soffocamento) e la camera (quasi sempre) fissa, predilige immagini spesso disarmoniche per tratteggiare l'ipotesi di riconquista di un rapporto - quello madre-figlia - che un tempo si era bruscamente interrotto, quando Monica era ancora un ragazzo e - arriviamo a comprendere - la famiglia rifiutò l'idea della sua transizione.

Per certi aspetti sembra di ritrovarsi di fronte ad un film che indaga il dolore di relazioni rese problematiche a causa di memorie sfuggenti e irrecuperabili (l'Alzheimer, ad esempio), con Monica che non trova il coraggio di dirsi frontalmente alla madre, rendendosi però utile con tutte le proprie forze affinché quella vicinanza possa riacquisire la forma di un rapporto speciale, e unico.

Al terzo lungometraggio (sarà in Italia con I Wonder Pictures), Pallaoro continua a fidarsi ciecamente dello spettatore, smarcandosi da qualsiasi facile didascalia, senza ricorrere alla scontata soluzione di scene madri, procede per non detti e momenti di silenziose riesumazioni: Monica ritrova in questo modo la complicità di un tempo con il fratello Paul (Joshua Close), scopre l'affetto per i nipotini e la dolcezza di una donna, Leticia (Adriana Barraza), che si prende cura della madre con amore incondizionato.

Monica
Monica
Monica

Proprio come in Hannah, la protagonista femminile è sempre presente (o quasi) in ogni inquadratura, riempiendo con forza e convinzione questo ritratto intimo di una donna che esplora i temi universali dell’abbandono e dell’accettazione, del riscatto e del perdono. Con una scelta finale di forte impatto, anche politico.

E Trace Lysette potrebbe tranquillamente ambire alla Coppa Volpi, che per la prima volta nella storia della Mostra sarebbe assegnata ad un'attrice transgender.