Come è possibile uccidere il presidente degli Stati Uniti durante un evento pubblico con centinaia di persone presenti, e farla franca? La domanda che arrovella il segretario di Stato per la guerra Edwin Stanton (Tobias Menzies, già magnifico principe Filippo nella terza e quarta stagione di The Crown , nonché Edmure Tully, ultimo erede dell'omonima casata ne Il trono di spade ) non è peregrina e neanche retorica. Come ha fatto John Wilkes Booth (Anthony Boyle, anche nell'acclamata e quasi contemporanea serie Masters of the Air ), attore famosissimo, a sparare a viso aperto ad Abraham Lincoln al teatro Ford di Washington, in una serata in cui ci si abbracciava di gioia per la vittoria di cinque giorni prima degli stati dell'Unione contro i sudisti?

È questa la domanda "giusta" su cui è costruita la narrazione di Manhunt , sorprendente racconto dei giorni immediatamente successivi all'omicidio presidenziale, mentre il Paese si risolleva da anni di guerra civile. E rischia di precipitare nuovamente in un nuovo conflitto, forse ancora peggiore. C'è l'ombra della cospirazione, una grande cospirazione segretissima, dietro la facilità con cui Booth fugge e si nasconde per troppi giorni, ben dodici, prima di essere catturato. Ne è convinto Stanton e ben presto gli uomini che con lui indagano, interrogano e perquisiscono alla ricerca di nomi, e soprattutto di prove. Quel che è accaduto il 14 aprile 1865 non è soltanto un omicidio gravissimo, ma la morte sul nascere di una nuova America che vede nell'uguaglianza e nell'equità di tutti i suoi cittadini, schiavi compresi, l'espressione più pura del Paese come era stato pensato fin dalle sue origini.

Manhunt
Manhunt

Manhunt

(Chris Reel)

Abraham Lincoln (Hamish Linklater, già premiato per la miniserie horror targata Netflix Midnight Mass ) è la forza propulsiva del grande cambiamento, spinto da condivisibili motivazioni etiche e morali, e proprio per questo viene annientato. Nei primissimi episodi fuochi d'artificio illuminano le notti che seguono la resa del generale Lee; le inafferrabili luci colorate squarciano un cielo altrimenti nerissimo, senza stelle, regalando la speranza di un domani vicino e migliore. A seguire, dopo l'assassinio, ci sarà soltanto un cielo sfuggente, quasi mai compreso nelle inquadrature, a creare un'atmosfera plumbea, soffocante. Nelle rarissime apparizioni alberi o edifici ne coprono gran parte, ed è comunque un cielo lattiginoso, incolore, senza splendore. L'orizzonte dei tempi a venire si preannuncia cupo, senza una visione come quella di Lincoln e del fido Stanton.

Manhunt è un thriller cospirativo storico dai toni epici, con echi del genere western. Gli antagonisti, Booth e Stanton, si sfidano, ed è chiaro chi rappresenti il bene e chi il male. I due puntano a un duello finale, alla resa dei conti che ristabilisca l'ordine, e la creatrice Monica Beletsky è abile nell'inserire questo elemento impraticabile nella realtà, vera o ricreata che sia. Col western la serie ha in comune gli inseguimenti a cavallo e il notorio problema di nutrire i quadrupedi; non troveremo il classico binomio prostitute e saloon, ma riunioni alla Casa Bianca e donne forti, determinate, criminali, ma anche fragilissime. Il mito della frontiera, tanto caro al genere, è qui la Ricostruzione. Il rinnovamento desiderato da Lincoln è evento catalizzatore, temuto e respinto come spesso, nei western, una nuova ferrovia, classico pretesto per l'azione.

Lo scontro in Manhunt è anche tra passato e futuro, schiavismo e libertà, l'essere reazionari o progressisti. Non a caso tanti film western sono ambientati proprio in questo periodo, tra il 1861 e il 1865, ovvero gli anni della guerra civile americana. In Manhunt , al lirismo di alcune scene notturne e della fuga tra fiumi e boschi è ben contrapposto il realismo brutale del sangue (tanto, tantissimo) e delle ossa rotte, così come il fumo del treno a vapore e la polvere sollevata da cavalli e carrozze si confronta con l'eleganza dei costumi e dei modi, la cura nel descrivere angoli domestici e comportamenti e azioni quotidiane del passato.

Booth e Stanton si mostrano a noi la prima volta indaffarati nei preparativi davanti allo specchio: pugnali, pistole, diario e stivali per il solitario Booth; gilet, papillon e il calore della famiglia per Stanton. Un'entrata in scena di stampo classico che rimanda al teatro, agli attori che si preparano prima di esibirsi sul palcoscenico. D'altronde l'evento principale che attendiamo avverrà come sappiamo proprio lì, in un teatro.

Manhunt
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Manhunt

(Chris Reel)

Booth è, come da copione, un uomo bello e vanesio, schiacciato dall'incapacità di raggiungere il successo di padre e fratello, entrambi attori, e che punta più alla fama che a un riconoscimento della bravura. Ogni volta che scende dal palcoscenico i suoi fan notano immediatamente la sua statura minuta: "Sembravi più alto in scena", gli ripetono puntualmente. E Booth mastica amaro, pensando a come ristabilire la sorte. I suoi sogni di grandezza sprofondano rapidamente nel delirio, in cui il mondo è un palcoscenico e lui la stella preposta a illuminarlo: "Domani sarò l'uomo più famoso d'America", dice a uno sconosciuto dieci minuti prima di uccidere il presidente, ma anche "leggo sempre le mie recensioni" parlando di un articolo di giornale che lo menziona quale assassino.

Autoproclamatosi eroe nonché simbolo della causa, l'attore condivide la fuga con David Herold (Will Harrison), poco più di un ragazzino capitato in un gioco enorme senza averne realmente contezza se non quando sarà troppo tardi. Il suo è un personaggio capace di infondere tenerezza, e il suo genuino orrore di fronte a sangue e violenza è anche il nostro. Lincoln e Stanton, ovvero "Abe" e "Mars", come i due si chiamano fra di loro, vivono un rapporto professionale e umano fatto di lealtà e fiducia, capaci di rispettarsi profondamente anche quando non sono in perfetto accordo. A unirli ulteriormente anche le difficoltà di entrambi nel ruolo di padre, che sottende all'assenza di eredi politici cui tramandare visioni e poteri. Sono uomini che vivono già nel futuro, Lincoln e Stanton.

Menzies tratteggia un segretario di Stato per la guerra perennemente al lavoro, che si crede infaticabile nonostante i problemi di salute, che è disposto a tutto per catturare Booth, per giungere allo scontro finale. La sua abilità e perseveranza nello scavare tra minimi dettagli e ricollegare tra loro volti ed eventi, non mollando mai il colpo, lo rendono un investigatore dal piglio moderno in un mondo di cui possiamo cogliere tutte le arretratezze che lo rallentano nell'indagine.

Ma, come i personaggi interpretati da Jodie Foster e Matthew McConaughey in True Detective , sempre in grado di porre la giusta domanda per trovare il bandolo della matassa. I numerosi personaggi di Manhunt , come in un dipinto affollato, vengono messi a fuoco con brevi incursioni nelle loro vite che ne svelano i dettagli più peculiari. Indimenticabile, tra i molti, la storia personale del soldato Boston Corbett (William Mark McCullough). Ai grandi della storia, divisi sulla questione dell'abolizione dello schiavismo, sono affiancate le vicende di comprimari neri, tra cui Elizabeth Keckley, la confidente della moglie di Lincoln (Betty Gabriel) e la coraggiosa Mary Simms (Lovie Simone). Quest'ultima si rivelerà un tassello importantissimo nelle attività investigative, e le sue traversie di giovane donna libera segnano gli alti e i bassi del progetto di ricostruzione voluto da Lincoln e Stanton.

Manhunt
Manhunt

Manhunt

(Chris Reel)

Ben in risalto anche le mogli di Abe e Mars: Lili Taylor ( American Crime , Outer Range ), sempre all'altezza di ogni ruolo che le viene affidato, è Mary Todd Lincoln, forse ingiustamente passata alla storia soltanto per i suoi sbalzi d'umore, le esplosioni pubbliche e le spese eccessive. Ma con Taylor siamo in buone mani e nella sua interpretazione non c'è posto per alcuna caricatura. Anne Dudek ( Dr. House ) è un'intensa e affascinante Ellen Stanton.

La struttura della miniserie segue temporalmente gli eventi reali, muovendosi con libertà verso momenti del passato prossimo o distante dalla linea principale. I passaggi nel tempo sono fluidi e ben motivati, rendendo la fruizione sempre gradevole. Lo spettatore porta con sé il vantaggio dell'onniscienza: non abbiamo bisogno di questa serie per conoscere i fatti, e in ogni momento ne sappiamo sempre di più di qualunque personaggio in scena, spesso proprio grazie a un flashback piazzato al momento giusto, e il tutto senza scalfire l'atmosfera tipica del thriller, ovvero la suspense.

Un'altra freccia ben scoccata dall'ideatrice, capace di creare tensione nel già noto. La miniserie è felice adattamento di Manhunt: The 12-Day Chase for Lincoln's Killer (2006) scritto da James L. Swanson. Il libro, che al momento non ha un'edizione in italiano, raccoglie rari materiali d'archivio e trascrizioni e racconta la fuga dell'assassino momento per momento. Ottimo il tema musicale firmato da Bryce Dessner, capace di sottolineare i momenti di gioia e trionfo ma che sa piegarsi in tonalità cupe e austere all'occorrenza. Il brano della sigla, un inno di dolore e speranza che affonda le sue radici nel blues più struggente, è scritto – appositamente per la serie – e interpretato da Danielle Ponder, stella in ascesa del contemporary R&B.