Ecco una storia che si regge quasi interamente sulle interpretazioni dei due protagonisti, Claire Danes e Matthew Rhys. Non che il resto del cast sia stato scelto con meno cura, da Jonathan Banks alla splendida Nina (Brittany Snow). Ma la fascinazione del rapporto vittima carnefice è talmente forte che tiene lo spettatore incollato allo schermo per l’intera durata degli episodi.

La serie è balzata sin dall’uscita al primo posto della top ten di Netflix. Ovviamente dietro The Beast in Me c’è una squadra di professionisti come Chris Carter (X-Files, Howard Gordon (Homeland e 24) e Antonio Campos (The Sinner, The Staircase), la cui regia contribuisce a creare atmosfere da brivido insieme con il lavoro sul suono (Sean Callery).

I primi episodi sono pura adrenalina, la suspense tiene fino alla fine, a parte l’episodio dello spiegone, del tutto inutile, peraltro. Quando Aggie e Nile si parlano o, meglio, si affrontano, scattano le scintille. La preda e il predatore, nessuno sfondo sessuale, solo lui e lei. Uno scontro colossale fatto di sguardi e dialoghi affilati.

La trama: dopo la morte del figlio in un incidente d’auto e la separazione dalla moglie, la scrittrice premio Pulitzer Aggie Wiggs (Danes), si ritira in una villa, troppo grande, trasandata e trascurata. Accanto, in una lussuosa abitazione, vive Nile Jarvis (Rhys), un famoso magnate del settore immobiliare, da anni sospettato di aver ucciso la moglie, di cui non si è mai trovato il corpo.

Aggie ha il blocco dello scrittore, Nile le offre qualcosa che non può rifiutare: uscire dall’impasse abbandonando il libro su cui non riesce a concentrarsi e scrivere la sua storia. Incomincia con una battuta scherzosa, poi prende forma, così velocemente da rendere imprevedibili fatti (che non sveliamo) che seguiranno.

Gli indizi ci sono però ben nascosti dalle performance dei due attori, semplicemente straordinari. Quando ti guardi allo specchio che cosa vedi? Chiede Aggie. Nile risponde: a te interessa solo quello che si prova.