Prendiamo atto che lo sbarco di Gian Alfonso Pacinotti in arte "Gipi" nel pianeta statico del cinema italiano è cosa buona e giusta. Che sia anche bella però è da vedere.
Il fumettista - che ha adattato il graphic novel di Giacomo Monti (Nessuno mi farà del male) - ha indubbiamente portato al trito canovaccio di storie nostrane un elemento di novità: gli extraterrestri e una verniciata di fantascienza, che è quanto di più alieno si possa immaginare nell'imbiancato sistema dei generi dello stivale. Non ha realizzato però un action all'americana, ma è rimasto fedele allo spirito del fumetto originale e a una predisposizione tutta europea alla riflessività.Ne L'ultimo terrestre è evidente la volontà di utilizzare lo spunto fantascientifico come paradosso, e come specchietto retrovisore del pianeta Italia. Perché, come dichiara lo stesso Gipi, "per raccontare la realtà in modo fedele la si deve tradire profondamente". E' un'Italia abulica (in fondo la notizia dello sbarco non genera nessuna sorpresa), inetta (incapace di agire o di misurarsi con qualcosa che somigli anche lontanamente a un sussulto di responsabilità), abietta (popolata da furbizia e ignoranza). Ma c'è - meglio, ci sarebbe - anche una storia (l'imminente invasione aliena di cui tutti sanno e parlano), una drammaturgia attorno a un personaggio (il protagonista è un passivo che viene risvegliato dall'incontro con una donna, dal confronto con una extraterrestre e dalla rivelazione di un passato), un percorso narrativo (le situazioni mutano, si evolvono verso una risoluzione). Solo che delle due Gipi privilegia solo la prima, la dimensione metaforica. E' un bene perché non si limita a lanciare palle avvelenate di retorica, ma lavora molto e proficuamente sul decor - glaciale, immerso nelle luci al neon, angosciosamente geometrico - sulla fisionomia (è uno straordinario E.T. il protagonista, Gabriele Spinelli; per non dire delle capigliature vesuviane di alcuni comprimari) e sulla messa in scena (il quadro è insieme pieno e spoglio, attutito e capace di risonanze). Crea insomma un'atmosfera, un mood preciso. E tableaux vivants d'indubbio valore estetico.
Evidente il background dal fumetto. E incoraggiante la bella novità di stile de L'ultimo terrestre nell'ambito del cinema italiano, particolarmente refrattario agli incroci linguistici. Tuttavia il film porta di questo cinema anche la tara, ovvero una difficoltà nella narrazione, a congegnare storie appassionanti, costruire situazioni credibili, relazioni forti tra i personaggi. E qui il film di Gipi balbetta, anzi non decolla mai. Resta inerte, come il suo protagonista. Deve addirittura inventarsi due colpi di scena - assolutamente gratuiti - per darsi e darci una scossa. Non gli mancano i giusti interpreti: Spinelli buca, Marinelli (è l'amico travestito di Spinelli) è bravo, Herlitzka (il padre del protagonista) una sicurezza. Gli alieni si vede lontano un miglio che sono attori vestiti a carnevale, ma la cosa non disturba. Suscita anzi una tenerezza efficace, la giusta sintonia con visitatori pacifici. Il punto è che le trame disegnate dal film e che vedono il protagonista confrontarsi con varia e amena umanità sono fragili e alla lunga monotone. Alcuni caratteri solo abbozzati (vedi la vicina di casa di cui il protagonista è innamorato), qualche situazione appiccicata e il finale buttato via. Sospeso (involontariamente?) tra una disperata elegia degli ultimi e un ambiguo elogio dell'inettitudine.