Sotto a chi tocca. È Lilli e il Vagabondo l’ultimo (per il momento) remake in versione live action, a cui spetta anche l’onore di inaugurare in Italia la nuova piattaforma streaming Disney+.

Ennesimo rifacimento di un classico dello Studio, il film rientra a pieno titolo nell’ampia operazione, attiva da qualche anno, di aggiornamento e restyling dei classici dello Studio.

Come sempre si procede su un doppio binario. Da una parte sono prodotti che strizzano l’occhio al pubblico adulto, dialogando con la nostalgia di chi è cresciuto con l’immaginario della più potente delle case di produzione. Dall’altra, si rivolgono agli spettatori più piccoli, forte di un catalogo consolidato fatto di storie intramontabili.

Interpretato da cani addestrati e poi addomesticati dagli effetti speciali (non sempre piacevolissimi…), il nuovo Lilli e il Vagabondo corrisponde allo schema che abbiamo già visto nei precedenti remake (citiamone alcuni: Cenerentola, La bella e la bestia, Il re leone; in arrivo, Mulan e La sirenetta).

Troviamo, dunque, piccoli allargamenti della trama, aggiornamenti dettati dalla sensibilità contemporanea, sfoggio di prodigi tecnologici. Centoquattro minuti contro i settantasei originali: è già tutto qui.

Il primo cambiamento riguarda i volti dei padroni. Vediamo in faccia Tesoro e Gianni caro: e li scopriamo coppia mista nella Georgia del 1909. Azzardato? Un po’ (troppo). E tutta la sottotraccia razziale non è che sia così credibile.

Ma le modifiche più eclatanti sono il cambio di genere da maschile a femminile dello Scottish Terrier Whisky e i subdoli gatti siamesi trasformati in distruttivi Devon Rex per evitare polemiche legati agli stereotipi razzisti (ma è lecito dire che erano protagonisti del numero musicale migliore?).

Restano le canzoni di ieri (più qualcuna realizzata per l’occasione), le scene iconiche (gli spaghetti a lume di candela) e il love affair tra la compita cagnolina e il maliardo randagio. E poi?

Restiamo sulla superficie del tenero ricordo, una ruffiana riverniciata alle pareti che rivela forse mai così platealmente la natura pretestuosa di questi remake dettati da logiche mercantile. L’originale resta chiaramente superiore, ma che a una storia del genere manchi il cuore è un problema a prescindere.

Non peregrina l’impressione che la stessa Disney ci credesse poco. Perché, dopotutto, usarlo per il lancio di una piattaforma che è già di per sé una corazzata per la library disponibile? Usato sicuro, usa-e-getta.